La notte del 31 dicembre 2015, sul palco della piazza di Castelsardo salirà Francesco De Gregori: il principe. Che canta da 43 anni. Un musicante anomalo, un poeta scostante, un menestrello stonato, uno scrittore dolcissimo, ermetico, troppo serio, radical chic, ombroso, suonatore stanco, permaloso, presuntuoso, pretestuoso, bravo. Probabilmente sublime. Un principe con una buona corte al seguito. Ricordo di aver sentito il suo primo pezzo nel 1973: avevo quattordici anni e in quel periodo il romano in voga era sicuramente Caludio Baglioni oltre alla grandissima star Lucio Battisti. La prima canzone che ascoltai di Francesco De Gregori fu “Signora Aquilone”. (album d’esordio con Antonello Venditti, Theorus Campus, RCA, 1972) Mi colpì soprattutto il titolo e il testo: così strano, così diverso e così lontano da Baglioni e Battisti. Così vicino alle mie parole. Quella donna (l’unica che ho avuto) con i seni piccoli e il cuore muto che non possedeva nulla, se non un vecchio aquilone che la portava nel vento. Erano gli anni degli innamoramenti voraci, si viveva nella speranza di poter riuscire ad ottenere un bacio misto alla paura di doverlo dare. Si chiedeva ai più grandi come “funzionava” questa strana alchimia del bacio e degli abbaracci. Come ci si doveva comportare, quanto e quando era importante stringere e abbracciare e provare ad andare oltre. Oltre i seni piccoli e il cuore minuto. Restavo ad ascoltarla con estrema passione questa canzone intimista perchè il vento era amico ed il cielo era grande. Provai una profonda emozione quando, in passegiata, ad Alghero, una sera forte di maestrale, mentre si doveva quasi gridare per non confondersi con il rumore del mare la gonna di Rosalba si sollevò: perchè il vento era amico ed il cielo era grande. Ci innamoravamo di tutto, anche di piccoli passaggi. Le gambe di Rosalba rimasero per giorni incollate nei cassetti della memoria. Per me lei divenne, da quel giorno, la “signora aquilone”. Aspettavo che arrivasse, che mi sorridesse, che mi chiedesse qualcosa, soprattutto che succedesse qualcosa. Speravo di poterla sfiorare, stringere, abbracciare e dirle che lei per me era la signora Aquilone e che in fondo a quel filo c’era la mia libertà. Non avevo capito, invece, che Francesco De Gregori sarebbe entrato per sempre nella mia vita a dipingerne i contorni e a pasticciare gli eventi. Rosalba mi sorrideva spesso ed era bellissima con i suoi seni piccoli ed il cuore muto. Tanto muto che non riuscì mai a parlare con me. Ma con Roberto si. Solo allora compresi la seconda parte della canzone: quell’ubriacone che beveva il proprio pianto, più dolce del vino perchè era il suo. Quelle strofe erano, in realtà, dedicate a me. Abbandonai Rosalba che ero un poco più saggio, mi rimasero tre soldi di dubbio e due di coraggio. Il dubbio era legato all’approccio con lei: dove avevo sbagliato? Il coraggio era invece tutto per De Gregori e per la sua Signora Aquilone che, da quel giorno, mi accompagnò con il suo filo verso una dolcissima libertà.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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