Don Gaetano Galia è un prete straordinario. Dico così perché, nel mio piccolo e discutibile mondo dei giudizi, l’ordinario dei preti è piuttosto negativo. Quindi secondo me un prete che fa degli ultimi i primi della sua gerarchia, non appartiene all’ordinario. Ma forse mi sbaglio perché dice che ce n’è un altro a Roma, di prete, che pare per di più che conti moltissimo, il quale si comporterebbe nello stesso modo. Mah, comunque il discorso non è questo. Don Galia lo cito perché in un post facebook di questa mattina, premettendo un certo scherzoso imbarazzo per il suo sfoggio di latino, cita Tito Livio. “” Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”. Tito Livio, secondo me, più che uno storico è uno che ti è molto utile nella funzione di maestro di vita. Come narratore e interprete di eventi, è poco obiettivo, apologetico, e inoltre lui stesso ammette di non avere fatto grandi ricerche sulle fonti dei fatti più antichi. Ma in quanto a interprete delle debolezze e delle virtù degli uomini è uno dei simboli della saggezza pacata e sarcastica di certa filosofia precristiana. Ciò che resta del suo “Ab Urbe Condita” ti tenta alla pratica superstiziosa della bibliomanzia, cioè aprire un libro a caso per trovarvi indicazioni preziose, tanto è pervaso di senno. Ora, scherzi a parte, quella citazione significa che mentre a Roma il senato discute, in Spagna Annibale si prende Sagunto. Cioè il Nemico per antonomasia avanza mentre i nostri capi si perdono in chiacchiere. Per don Galia, che di ricchi penso ne frequenti pochi, il nostro Nemico presente è la povertà, quella forma di miseria che rende facile l’avvento del male, miseria che avvilisce e toglie dignità, che provoca sofferenze, frutto di una ingiustizia per me alla fine connaturata alla nostra essenza, ma per lui violazione terribile e costante dello spirito cristiano dell’essere uomo. Uno che frequenta i poveri non può quindi che essere disgustato dai ritardi politici e dai bizantinismi burocratici nell’erogazione dei soldi legati all’emergenza. Non potete pretendere che un prete che vive in una delle trincee scavate per fare fronte alla decadenza morale in cui la dittatura della finanza ci sta portando, possa comprendere le esigenze della nostra classe politica: maggioranza e opposizione. Frequentando chi conosce la fame e magari ha rubato per saziare i suoi figli e se stesso, il prete della trincea non può benedire chi parla pensando soltanto alle prossime elezioni o agisce attento a non danneggiare troppo padroni e manutengoli. Forse è questo sano ritorno a un certo schematismo delle origini- poveri e ricchi, fortunati e sfortunati, umili e potenti – che potrebbe portare un po’ di moralità in una politica che ci sta avvicinando sempre più alla barbarie della grande America, dove è normale morire se al pronto soccorso non ti trovano in tasca la tessera dell’assicurazione sanitaria e dove le minoranze (penso che purtroppo siano tali) antirazziste periodicamente devono scendere in piazza per dire al mondo che lì tuttora si ammazzano i “negri”. Guardiamoci intorno in questo nostro strisciare fuori come lumache dalle tane per riprendere aria dopo la pioggia. Passata l’esaltazione per il ritrovato cappuccino con brioche al bar, pensiamo al fatto che ora sono infinitamente più numerosi quelli che il cappuccino e la brioche non sanno neppure cosa siano perché hanno bisogno del latte e del pane. C’è il rischio che in questa ebbrezza del dopo diluvio il primo raccoglitore di ciogga grossa e ciogga minuda ci metta tutti a digiunare per cucinarci poi con aglio e peperoncino. Don Galia parla di “burocrazia che uccide” con i suoi ritardi. Ha ragione. Però lui, pro bono pacis (giusto per imitarlo nello scherzoso latineggiare), nella sintesi del post omette che dietro la burocrazia c’è la politica e cioè la volontà di chi decide. Ma sospetto che lo pensi.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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