Il porto di Porto Torres vanta una storia antichissima ma, dopo i fasti della Roma imperiale, subisce un progressivo abbandono, causato dalle frequenti incursioni barbaresche e arabe e dal conseguente spopolamento del territorio a favore delle più sicure zone interne.
I genovesi e i pisani, che ne comprendono l’importanza strategica, lo valorizzano e lo utilizzano per i loro traffici, mentre gli spagnoli, impegnati nelle lunghe e devastanti guerre di successione, lo lasciano, alla loro cacciata , in uno stato di profondo degrado.
Con l’avvento dei Savoia, i quali non hanno certo tradizioni marinare (non possiedono neppure una flotta militare per la difesa delle coste, affidata esclusivamente all’amministrazione delle torri), il porto decade ulteriormente e viene completamente abbandonato fino alla metà del settecento, quando la darsena è ormai ricoperta di sabbia, alghe putride e detriti e i moli sono completamente erosi dalla furia delle onde.
Finalmente tra il 1756 e il 1765 viene avviato un programma di ristrutturazione: viene dragata la darsena e si restaurano i moli, la torre di guardia e il magazzino di stoccaggio delle merci in transito.
Il porto riprende dunque la sua attività, ma nei decenni successivi non viene effettuata alcuna opera di adeguamento alle crescenti esigente dei collegamenti tra Porto Torres e il continente, tanto che nel 1823, l’ufficiale della Royal Navy inglese William Henry Smyth, inviato nell’isola per compilare la cartografia del perimetro costiero della Sardegna, così scrive: «Porto Torres è un piccolo porto a due moli, difeso da una solida torre ottagonale […] Può accogliere poche piccole navi, mentre quelle più grandi sono obbligate a rimanere alla fonda a quasi un miglio, dove, peraltro l’ancoraggio è abbastanza buono.
Poiché le navi da guerra fanno raramente rotta da queste parti, il nostro arrivo fu un evento eccezionale e tutti visitarono la nave, dal capitano-generale al contadino più povero».
Del 1819 un servizio di golette assicura il collegamento con Genova con frequenza quindicinale e dieci anni dopo, il governo concede allo spedizioniere genovese Giovanni Battista Torrazza una “patente” per collegare con regolarità la Sardegna al continente mediante un battello a vapore.
Col completamento della la nuova Strada reale che collega Cagliari a Porto Torres, lo scalo turritano diventa il secondo porto della Sardegna. I traffici nell’arco di pochi anni registrano un notevole incremento: gli attracchi passano dalle 157 unità del 1825 alle 255 del 1829, nonostante permanga lo stato di profondo degrado e di pericolosità, che non viene se non in minima parte affrontato nell’intervento iniziato nel 1833 che si protrae per diversi anni senza che si apportino grandi cambiamenti: “s’indugiò molto però, a imprendere questi lavori – anzi ben poco si fece”, commenta lo scrittore sassarese Enrico Costa nella sua opera Sassari.
Nel 1835 entra in esercizio un moderno bastimento a vapore, La Gulnara, che oltre ai passeggeri, trasporta i dispacci ufficiali e la corrispondenza privata.
Scrive Valery (pseudonimo di Antoine-Claude Pasquin) dopo la sua visita in Sardegna : «La Gulnara, un’eccellente nave inglese a vapore, di proprietà dello Stato e una delle migliori del Mediterraneo, partendo da Genova ogni quindici giorni porta alternativamente a Porto Torres in ventiquattr’ore per 60 franchi e a Cagliari in quarantadue ore per 80. Pur essendo comoda ed economica La Gulnara non trasporta altro che religiosi o soldati mandati nell’Isola; gli stranieri sembrano ignorare questa via di comunicazione che collega tanto facilmente all’Italia».
Il servizio è gestito interamente dallo stato e viene potenziato due anni dopo un altro moderno piroscafo, L’Icnusa.
Tuttavia i collegamenti, soprattutto nei periodi invernali, sono piuttosto irregolari sia per le condizioni meteo-marine sia per i rischi della navigazione, essendo le coste sarde completamente sprovviste di fari e di segnalazioni nautiche.
I lavori effettuati a seguito dello stanziamento del 1833, infatti, hanno coperto solo in minima parte le esigenze della crescente vitalità che il porto va via via mostrando, e se da una parte il prolungamento dei due moli di Levante e di Ponente consente l’attracco ad un numero maggiore di imbarcazioni, dall’altra, l’esiguità dei fondali e le carenze strutturali non permettono l’approdo a natanti di grossa stazza che ormai vengono regolarmente utilizzati per le tratte da Genova, Marsiglia e Nizza per Cagliari.
Nel 1847 il porto viene dotato di un faro che viene posizionato sulla torre aragonese.
Sono anni di crescita: Porto Torres nel 1842 ha formalmente ottenuto l’autonomia da Sassari e nel 1845 si amministra finalmente per proprio conto.
Si istituiscono finalmente nuovi collegamenti. La compagnia genovese Rubattino, nel 1851, mette in esercizio tre nuovi piroscafi a ruote, il Virgilio, il Lombardo e il Dante che ogni dieci giorni fanno scalo nel porto turritano.
Nel 1860, alla vigilia dell’Unità d’Italia, si avvia finalmente una consistente opera di ristrutturazione, si dragano i fondali, si ricostruiscono le banchine e si realizzano nuovi moli.
Inizia così il percorso che porterà il porto di Porto Torres ad essere uno dei più importanti porti del Mediterraneo, che vede la sua massima espansione negli ultimi quarant’anni del novecento, ma che con la crisi industriale e ancor più con la crisi del terzo millennio rischia di essere relegato a terzo incomodo tra i porti di Cagliari e Olbia.
Nata quasi a metà del secolo scorso, ha dato un notevole impulso, giovanissima, all'incremento demografico, sfornando tre figli in due anni e mezzo. La maturità la raggiunge a trentasei anni (maturità scientifica, col massimo dei voti) e la laurea...dopo i sessanta e pure con la lode. Nonna duepuntozero di quattro nipotini che adora, ricambiata, coi quali non disdegna di giocare a...pallone, la sua grande passione, insieme al mare.
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