Nel giugno del 1963, a Torino, un giovane sardo di 21 anni, si trovò nella pedana del salto in lungo che doveva decidere i partecipanti alle Olimpiadi di Tokio.
Il giovane era Raffele Piras, e proveniva da un paese del Campidano, Quartucciu. In gioventù avrebbe potuto giocare a pallone. Non era altissimo, ma il suo stacco di testa era tale da sovrastare, e di gran lunga, tutti gli altri. Superava con la testa, abbondantemente, la traversa. Per non parlare della velocità.
Ma quel giovane aveva un’altra passione, l’atletica. Nel cortile di casa sua prendeva la rincorsa e si schiantava a oltre sei metri di distanza.
Poi iniziò a fare sul serio, all’Esperia di Cagliari. E in poco tempo, nonostante qualche infortunio di troppo, raggiunse le vette della specialità in Italia.
Il salto in lungo, nell’atletica leggera, è la specialità dell’armonia. Affinché il potenziale dell’atleta si possa esprimere, occorre azzeccare le diverse componenti di cui si compone il salto. Rincorsa veloce e misurata sulla tavoletta per non sprecare centimetri; caricamento, in cui il corpo intero si contrae come una molla; stacco, dove l’energia viene liberata e indirizzata nella giusta traiettoria; poi c’è il volo e, infine, importantissima, la chiusura nella sabbia.
Tutte queste cose si imparano con la lunga lena dell’esercizio indefesso. Azzeccare tutto insieme in un salto solo è abilità dei grandi saltatori.
Quel giorno l’armonia abitava in Raffaele, e spiccò il volo: 7 e 60.
7 e 60, nel 1963, per le pedane, l’attrezzatura, e le tecniche di allenamento dell’epoca, era una misura di livello mondiale, a soli 3 centimetri dal record italiano del grande Maffei. E Raffaele aveva solo 21 anni, con margine di miglioramento enormi.
Raffaele si era guadagnato il pass per le Olimpiadi di Tokio. Ma un infortunio gli impedì di parteciparvi. Il quarto classificato, nella gara olimpica, fece 7 e 60.
In Raffaele abitava l’armonia, ma non la fortuna. Una serie di infortuni gli recise una carriera promettente, che lo avrebbe visto protagonista a livello mondiale. Neppure fu fortunato con la salute, perché una insufficienza renale lo costrinse, per tutta la vita, a lunghe cure, fino al trapianto di un rene del 1988.
Ma Raffaele Piras aveva un’altra passione, quella della poesia in lingua sarda. E la stessa armonia che esplose nel magico volo di Torino, gli permise di scrivere poesie di tale pregio da farlo diventare uno dei più apprezzati poeti in lingua sarda.
Sono decine i premi vinti da Raffaele nella sua carriera di poeta, e centinaia i riconoscimenti e le menzioni. Quando si presentava in un premio di poesia, faceva lo stesso effetto della sua presenza in una pedana del salto in lungo. Non c’era storia, o quasi.
Il lungo volo del campione e del poeta è terminato ieri.
Alla notizia, mi sono ritrovato, inaspettatamente, ragazzino. Con pochi tratti sfocati, mi sono visto, come in un film in bianco e nero, correre nelle campagne di Quartucciu, insieme a Giorgio Pisano, poi diventato pluricampione sardo di corsa campestre, e agli altri amici di gioventù. Negli anni ’60 e ’70, piste di atletica non ce n’erano, ci si allenava correndo nelle campagne, e si saltava nei cortili delle proprie case campidanesi.
Allora non c’erano le piste, e c’erano i ragazzi che correvano.
Oggi ci sono le piste, e non ci sono i ragazzi che corrono.
Il mondo cambia. L’immagine di Raffaele Piras, che continuava ad allenare i giovani, mi rimase impressa. Quello è Raffaele Piras, mi indicò un giorno Giorgio. Come a dire, quello è un mito.
E a me pareva di guardare il protagonista di un’altra epoca, di un altro mondo.
Solo ora mi accorgo che, invece, altre epoche ben più significative, nello sport e non solo, stavano per travolgerci.
Solo ora mi accorgo che, quel ragazzino che correva nelle campagne di Quartucciu, ha appartenuto, almeno in gioventù, all’epoca in cui un volo di 7 metri e 60 era soprattutto il frutto di una armonia, di una poesia.
Ferretus in sa sola
de Raffaeli Piras
Tòrrat a bivi in custa noti de isteddus su giardinu de is bisus nostus, cumpangius de giogu! Cantu froris arrancaus peri su viagiu!
Tengu una giràndula in su balconi de su coru e dònnia borta chi unu sùlidu ‘e bentu, arribau de-i cuddus confinis, dda fait girai, torru a pigai su binóculu e ddu puntu a su passau. Est arribau ingiogatzau custu mengianu e s’ànima tremit in su s’agatai in cuddas arrugas aundi trumentu a palas de su pensamentu chi est giai arribau a sa pratza e a su grifoni! ‘Nci seus totus afannendi avatu de una bocia de tzàpulu! E ‘nci sunt mamas nostas chi, aspetendi sa grida, pensant a su pani ‘e su merì! Ah, tempus de ferretus in sa sola e cuntrastadas penas corporalis in sa scola candu s’arrubiori in su genugu averàt punitzionis de cìxiri… e nostu, bentixeddu chi non dudas a mi sulai in cara su cinixu fridu de is giogus becius e a percurri is srucus de is carris mias stracas! Ddu sciu ca, cument’e steddu fuiu, has a svanessi gelendi custu momentu ‘e felicidadi… e guai si non fessit diaici, ca dosinuncas su coru, custu póburu coru…
di Raffele Piras
Rivive in questa notte di stelle il giardino dei nostri sogni, compagni di gioco! Quanti fiori predati lungo il viaggio!
Tengo una girandola sul balcone del cuore ed ogni volta che un soffio di vento, giunto da quei confini, la fa ruotare, riprendo il binocolo e lo punto sul passato. È giunto giocoso stamani e l’anima trema nel ritrovarsi in quelle strade dove fatico a strare dietro al pensiero che già raggiunge la piazza e la fontana! Affanniamo tutti dietro una palla di stoffa! E ci sono le nostre mamme che, attendendo la grida, pensano al pane della sera! Ah, tempo di ferretti nelle suole e discusse pene corporali nella scuola quando il rossore sul ginocchio testimoniava punizioni di ceci… e nostro, venticello che non esiti a soffiarmi in viso la cenere fredda degli antichi giochi e a percorrere i solchi delle mie carni stanche! Lo so che, come stella cadente, svanirai gelando questo momento di felicità… e guai se così non fosse, ché altrimenti il cuore, questo povero cuore…
Si ringrazia il sito della A.S: Delogu Nuoro per la foto e le informazioni.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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