La festa di Sant’Alenixedda è da sempre il clou dell’estate a Tirigò, frazione di Senuni, Alto Flumentepido. La festa cade la seconda domenica di luglio, però i preparativi fervono già da maggio quando in paese comincia la raccolta di fondi per la grande arrostita del sabato sera e lo spettacolo musicale della domenica, a conclusione delle celebrazioni religiose nella piccola chiesa campestre ai piedi del Monte Ararbu. Mentre il direttivo del comitato batte il paese in cerca di soldi, il presidente ha l’incarico di scritturare i musicisti. Una volta era tutto più semplice: un coro a tenores, alcuni improvvisatori e magari un comico per strappare qualche risata. Oggi il pubblico è cambiato: ci vuole musica moderna, magari un gruppo etno-rock, o qualche stella in declino pronta a esibirsi per mille euro, tutto incluso. Al vice-presidente anziano spetta il compito più rischioso: convincere Geroboamo Atteddu a non presentarsi per nessun motivo alla festa. Sarebbe facile poter dire a Geroboamo “resta a casa” e basta. Il vero problema è che Geroboamo, cieco dalla nascita, è un menagramo. Sì, uno iettatore, per essere precisi un pindaccio. La forza è potentissima in lui, soprattutto contro le cose. Minchiate da incivili dirà il lettore, invece non è cosi. E’ scientificamente e matematicamente provato che se Geroboamo si presenta alla festa di Sant’Alenixedda come minimo una tromba d’aria devasta il palco e fa strage dei bar estemporanei messi su con quattro pali, tendoni e incannucciati. Oppure pioverà a dirotto o un improvviso incendio lambirà la chiesetta incenerendo le auto accatastate nel parcheggio dietro la chiesa. Non eventualità, ma incidenti accaduti ogni volta che Geroboamo ha trovato qualcuno disposto ad accompagnarlo alla festa. E qualcuno il menagramo lo trova sempre: “Sento che hai la macchina nuova” gli basta dire per gettare nello sconforto il poveretto che già vede la sua nuova Panda stritolata da un masso staccatosi dal monte o bruciare sino all’ultimo pneumatico a causa di un cortocircuito. E così Geroboamo arriva bello bello in auto a Sant’Alenixedda e trova posto davanti a una delle cumbessias dove le pie donne del paese preparano dolci e pane frattau mentre alcuni vitelli arrostiscono a fuoco lento in attesa del mare di birra e cannonau che farà deflagrare la festa. Statistiche alla mano, negli ultimi dieci anni Geroboamo è andato alla festa due volte: nel 2007 quando piovve tanto che il rio Gusinu in meno di due ore travolse tavolate e spiedi e nel 2012 quando la scintilla partita da un focolare appiccò un incendio che distrusse 10 auto, un pullman e persino il pick up dei barracelli. Diplomazia, tatto e fermezza sono le doti del vice presidente delegato alla questione Geroboamo. Ma deve essere anche un “credente”. Quando toccò ad Agostinu Melis trattare con il signor Geroboamo non ci fu partita. Melis, dottore in agraria, era convinto che i pindacci fossero una medievale invenzione e che la superstizione altro non sia che la religione degli stupidi. Ahi noi, gli mancava dunque la “fede”. Andò più o meno così e fu una waterloo. Melis: signor Geroboamo, il comitato della festa di Sant’Alenixedda le sarebbe grato se lei passasse il sabato, la domenica e anche il lunedì successivo alla festa ospite a nostre spese a San Gemiliano, nel resort Luna lucente. Geroboamo: sono tanti anni che non vado alla festa e ho proprio voglia, sentita la Messa, di mangiare un piatto caldo di pane frattau e qualche pezzo di carne, magari accompagnato da un buon cannonau o della birra fresca. Melis: sono certo che capirà che molti sarebbero felici se lei non si presentasse affatto alla festa. Geroboamo: sono un povero vecchio e cieco e potrebbe essere l’ultima festa… Melis: ci pensi, magari il soggiorno a San Gemiliano potrebbe essere per tutta la settimana. Geroboamo: sono certo che qualcuno mi accompagnerà e poi l’ultima volta, a causa dell’incendio, non sono riuscito né a sentir messa né a cenare. Melis: potremmo portarle degli assaggi a casa… Geroboamo: non ho ancora deciso, mi lasci pensare. “Come è andata? Mica verrà? Se ne stara a casa sua, vero?”. Il dottor Melis fu accolto dagli altri dirigenti del comitato con una raffica di domande sempre meno convinte. Poi il vicepresidente crollò su una sedia e si mise a piangere davanti a tutti. “Ha detto che non ha deciso, ci farà sapere ma…”. _ Ma… cosa? sbotto in coro tutto il direttivo. “E’ che tornando a casa per evitare Melchiorre Murenu che rientrava in paese sul suo asinello sono finito con l’auto contro un muretto. L’auto è da buttare”. La sera di sabato 10 luglio Geroboamo arrivò a Sant’Alenixedda su un taxi che aveva dovuto chiamare addirittura da Nuraghe Niolu. Tutti in paese nei giorni precedenti l’avevano evitato e al povero cieco non era restato altro che chiamare un autista di piazza. Quando scese dall’auto, persino don Lucianu si bloccò a metà della preghiera mentre il vociare lentamente si spegneva. L’unico rumore per un lunghissimo istante fu il crepitare del fuoco nei grandi bracieri sotto i mezzi vitelli che lentamente cuocevano e sfrigolavano. “… nei secoli dei secoli, amen” concluse il sacerdote. “Amen” risposero in coro tutti i presenti, persino il segretario della sezione Berlinguer del Pd che era entrato in chiesa l’ultima volta per il battesimo del figlio, ventitré anni prima. Donna Maria Senes andò incontro al vecchio che cercava di localizzarsi girando lentamente il bastone bianco intorno a sè. E la gente si scansava, manco fosse la Durlindana. “Geroboamo – gli disse – venga con me”. Si fece un rapido segno della croce e prese l’anziano sotto braccio accompagnandolo verso un tavolo dove lo fece accomodare. Poi la donna fulminò con lo sguardo il marito che si era toccato e ordinò: “Porta da bere a Geroboamo. E subito”. La festa lentamente riprendeva quota dopo la comparsa dello iettatore. In molti si avvicinarono al vecchio per toccarlo e scambiare qualche parola, quasi per scaricare la sua forza a terra. Geroboamo fu il primo a essere servito del pane frattau. “Misericordia, controlla che non sia troppo caldo” disse la signora Senes alla nuora. “Non vorrei che ci scappasse il morto…”. Geroboamo annusò il piatto, saggiò la temperatura con un dito e voluttuosamente ruppe l’uovo incastrato in un ricco strato di sugo di carne che ricopriva il sottile pane carasau intinto nel brodo e spolverato di pecorino secco e sapido. Portò la forchetta alla bocca e cominciò a masticare emettendo quasi dei mugolii di piacere. Tutti intorno esalarono un sospiro di sollievo e tornarono alla festa, alcuni ancora facendo le corna. Attorno a Geroboamo si sedettero altri anziani (che altro poteva succedergli di peggio della vecchiaia?) che iniziarono a chiacchierare amabilmente con lo iettatore. Dopo un po’ la signora Senes portò un ricco vassoio di carne di vitello e un altro di fresche verdure. Nessuno degli altri anziani si azzardò a toccare la carne prima che Geroboamo si fosse servito. Il cieco ne tagliò un pezzo e lo portò alla bocca: “Speriamo che sia tenera, non ho più i denti di una volta…”. Masticò lentamente, inghiotti il boccone e sentenziò: “Non ci sono più le bestie tenere di un tempo”. Sulla tavolata calò un silenzio gravido di aspettative. “Vino – disse Geroboamo – altro vino ci vuole per questa carne dura”. La voce che Geroboamo avesse trovato dura la carne si sparse tra i tavoli, le cumbessias e i bar che servivano birra e cannonau a fiumi. Un brivido, nonostante il caldo afoso della sere, corse lungo la schiena dei fratelli Pinna che si maledicevano per aver offerto due vitelli per la festa. Persino chi aveva curato la cottura delle bestie si sentì a disagio. Un paio di lampi scoccarono nel cielo sopra il monte Ararbu. “Succede spesso – dissero gli anziani ai più giovani, più per tranquillizzarsi che tranquillizzarli – soprattutto d’estate dopo giornate molto calde come oggi”. Geroboamo masticava lentamente la costa di un sedano mentre ascoltava i vicini parlare del più e del meno. Tutti temi sapientemente scelti per non turbare il cieco e scatenare la sua forza. Poi fu la volta dei dolci: seadas fritte col miele, papassinos, arantzada e dei sospiri dolcissimi. Geroboamo non si negò nulla e annaffiò il tutto con un ricco passito. Terminò il pasto con un rutto e una constatazione che gettò nel panico tutti i presenti. “Mi duole il ginocchio, come se stesse per piovere. E sento freddo”. La chiesetta di Sant’Alenixedda sorge a quasi 800 metri di quota e d’estate, persino nelle giornate più torride, la temperatura è dolce. “Venga dentro, venga dentro signor Geroboamo” quasi gridò la signora Senes accompagnando l’anziano cieco dentro una delle cumbessias che circondano la chiesa. “Qui starà al caldo e al coperto” disse mentre una serie impressionante di lampi illuminava la zona. Geroboamo si tolse gli occhiali e con le orbite vuote e spente sembrò fissare la porta. “Sta per piovere – disse – il mio ginocchio non sbaglia mai”. Le prime gocce sfrigolarono sulle braci mentre il tic toc della pioggia sollevava nuvolette di polvere nel piazzale che in un lampo si era svuotato. All’improvviso si levò un vento gelido mentre la signora Senes chiedeva rassegnata a Geroboamo: “Quanto zucchero nel caffé?”. “Due, grazie” disse affabilmente il vecchio pindaccio mentre la pioggia battente si era trasformata prima in una furiosa grandinata e poi in una densa nevicata che iniziava ad attecchire.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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