– Ma questi delinquenti non si accorgono del danno che fanno ai loro figli? – dico al collega mentre, durante l’ora buca, sfoglio il suo giornale. Lui allunga rapido lo sguardo, cercando di colmare con un’occhiata le lacune del mio linguaggio egocentrico. – Parli dei genitori nuoresi? Quelli che difendono i figli bulli? – – Sì, proprio loro. Ti rendi conto che hanno scritto una lettera dove, ribaltando i ruoli, tentano di scagionare i loro figli spacciandoli per vittime finite casualmente nella lista dei colpevoli? – – Certo che di mamme come la mia amica di Monti ce ne sono poche… –
E lascia la frase così, sospesa nell’aria, carica di risvolti indecifrabili ad aleggiare sui nostri caffè.
– Che ha fatto la tua amica? – chiedo con l’ansia di catturare fotogrammi diversi da una scena che, purtroppo, spesso si ripete sempre uguale a sé stessa. Sempre identica nell’errore. – Questa mamma un giorno è stata convocata dal preside della scuola dove la figlia frequentava la terza media. L’aveva chiamata per comunicarle che la ragazzina, allora tredicenne, capeggiava una banda di bullette e avevano preso di mira una compagna di classe. – – Oh merda, il bullismo femminile è ancora più crudele. – – Perché voi femmine siete più stronze, è evidente! – – Sì, vabbé… prosegui – – E comunque, ‘sta mamma non ha avuto difficoltà a riconoscere come attendibile quella versione dei fatti. Sapeva bene del temperamento della figlia. Una ragazzina con un piglio deciso, carisma da leader. Ma mai poteva immaginare che si ponesse come leader negativo. – – E che ha fatto? – – La cosa più naturale in situazioni simili: ha afferrato la figlia per un orecchio, l’ha portata a casa della vittima e le ha detto “Siccome io sono convinta tu non sia il mostro che mi hanno descritto, e io un mostro in casa non lo voglio, mi darai prova che tutto quello che è successo è frutto di un momento di imbecillità che stai attraversando e che deve terminare oggi. Quindi ora suoni il campanello, chiedi della tua compagna, ti scusi e chiarisci ogni cosa. Quando hai finito chiamami e io torno a riprenderti. Prima di allora non farti viva!” –
Certi racconti sono come un balsamo che va a depositarsi dove altri passaggi, come quello di Nuoro, hanno creato spaccature profonde. E per un attimo rimettono a posto il disegno dell’equilibrio. Laddove ognuno dovrebbe capire che ritrovarsi ad essere genitore del bullo è un attimo. E’ solo una questione di fortuna. Anzi no, la fortuna è ritrovarsi genitore della vittima. Perché, fra tutti gli attori che calcano il palcoscenico del bullismo, è lei la parte più sana.
Forse un sorriso beota mi si è dipinto sul volto mentre finivo di ascoltare il racconto e, scansando facce note e personalità celebri, ho pensato che il mio personaggio del giorno sarebbe stata quella mamma di Monti. Una mamma e il suo buonsenso, soprattutto.
(*Monti è un piccolo centro della Gallura n.d.r.)
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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