Chissà quali erano i pensieri di Salah, quando nel suo bar di Molenbeek trascorreva le serate tra una birra Jupiler e qualche canna.
Perché quello che fino a pochi giorni fa era il ricercato numero uno d’Europa, prima del novembre 2015, appariva così: uno sbandato che viveva alla giornata e di espedienti connessi alla droga. Quel bar gestito insieme al fratello Brahim, raccontano i conoscenti, era perfettamente consono al degrado che caratterizza Molenbeek, quartiere della capitale belga. Se vi si entrava, i due fratelli si affrettavano ad accogliere i clienti per cercare di rifilare della roba. Nulla che facesse pensare ad una loro simpatia per l’islam radicale, anzi. Droga, calcio, discoteche, birra e ragazze, simboli della “vita all’occidentale”, come dicono i telegiornali, per quanto nella sua versione degenerata. Salam aveva anche la fama di donnaiuolo vanitoso. E proprio questo stile di vita lo rende insospettabile fino agli ultimi mesi del 2015. Solo al cospetto di Yasmina, la sua fidanzata, Salah lascia trapelare qualcosa. È il 2014 e tra una Jupiler e l’altra le confessa di voler partire per la Siria, inizia a pregare, ma senza costanza, e la giovane non lo prende sul serio. Nell’anno successivo, la svolta. È Brahim a partire per la Siria, mentre Salah resta in Belgio e nel mese di Ramadan smette di bere e fumare. Chissà quali sono i suoi pensieri quando la sera del 13 novembre cambia idea e decide di non farsi saltare in aria. Nel cercare spiegazioni alla repentina radicalizzazione di Salah, è stata avanzata un’ipotesi interessante. Ci si chiede se nei suoi anni da delinquentello comune non abbia fatto ricorso ad una revisione della pratica musulmana della taqiyya. Il termine, tradotto in italiano come “dissimulazione”, è ascrivibile all’antica realtà delle sette minoritarie dell’islam, sciismo in primis. Lungi dall’essere qualcosa di paragonabile all’abiura, consentiva agli sciiti di nascondere o rinnegare la propria fede in caso di pericolo di vita all’epoca degli scontri con la controparte sunnita. Se ricordiamo come la storia degli sciiti sia dominata da tragiche scomparse dei leader spirituali, gli imam, l’utilità della taqiyya, risulta facilmente comprensibile. Lo appare decisamente meno nel caso di Salah. Salah avrebbe utilizzato la taqiyya non per questioni di sopravvivenza personale, al contrario, ma per ragioni opposte, ovvero, per cagionare la morte di terzi. Dunque, se la prima vita esteriore di Salah non aveva molto a che fare con l’islam radicale, appare controversa la spiegazione per la quale sia da trovare nell’islam e nella particolarità della taqiyya una ragione plausibile al suo operato. A meno che non si intendano per “islam” e “religione” tutte le versioni dei vari credi adattate ai nostri personali capricci e tragici desideri di (auto)distruzione.
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