Io non ho mai capito bene se Renato Soru sia più un Berlusconi dei poveri o un Gramsci dei ricchi. Di Berlusconi credo che condivida una certa confusione culturale tra pubblico e privato. Non sul piano morale, parlo dell’approccio metodologico: “So condurre bene un’azienda e quindi saprò condurre un’amministrazione pubblica o un partito”. Di Gramsci… beh, ora che ci penso forse Gramsci l’ho evocato più che altro per fare una battuta. Anche se in fondo Soru ha proposto una sua visione della sinistra anche a un segmento di persone piuttosto fuori da certe categorie politiche. E poi ha messo i piedi nel piatto dell’Unità, con tutta la sua fama di imprenditore gauchiste (cioè dall’allure un po’ extra), proprio quello che ci voleva per salvare il mito di carta e inchiostro. Ma come altre sue imprese politiche improntate a una moderna sinistra aziendale ha avuto una tumultuosa conclusione. E ora c’è questa faccenda della segreteria del Pd regionale e delle correnti Cabras-Fadda-Lai che lo vogliono fare fuori e che ci sono praticamente anche riuscite. Io quando Soru è diventato segretario non è che la cosa l’abbia vista tanto bene proprio perché la scelta era frutto di un accordo tra correnti, anche quelle correnti, più che di una spinta di base irrefrenabilmente “popolare di sinistra”, magari anche cavalcando a briglia sciolta l’equivoco, ma comunque coagulando forse sane. Un po’ come alla sua prima candidatura alla presidenza della Regione e poi vada come deve andare, boh, meglio di niente. Ho pensato che fosse strano questo suo buttarsi in una politica di partito, persino più distillata e anche più letale di quella dell’amministrazione. Anche per una certa sua insofferenza generale alle norme della politica. Persino a quelle giuste. Come a esempio quella di mettere insieme un soddisfacente numero di presenze alle assemblee nelle quali si viene eletti. Metti a esempio parlamento europeo o consiglio regionale. Regola che lui forse interpretava più che altro come un consiglio, un orientamento. Soru mi dava l’idea di uno per il quale il Pd fosse solo uno dei piccoli cordoli di cemento sul quale appoggiare un suo progetto politico non sempre coincidente per dimensioni con i partiti del Duemila e roba del genere. E che quindi quella di chiudersi in gabbie correntizie e in questioni di incompatibilità oggettiva con la sua attività di imprenditore, fosse una scelta che emanava strani odori di patti segreti. Non sapevo su che cosa, ma arricciavo il naso. E invece sotto non c’era niente di puzzinoso, tanto che ora Soru ha detto a CabrasFaddaLai&C. che “la politica non è un patronato delle carriere personali”. E quindi l’hanno fatto fuori. Insomma, ha scoperto il lato oscuro della Forza, come direbbe un bravo Jedi. O forse riscoperto. Perché quando si era dimesso da presidente della Regione contro le forze interne che si opponevano alla sua visione dell’urbanistica e della tutela del territorio, gli avversari in fondo erano più o meno gli stessi di ora. Ci sono tutte le premesse perché anche questa volta lo strano imprenditore di sinistra che non piace alla sinistra padrona della sinistra sarda (non metto le virgolette a ogni “sinistra” per non appesantire il testo), sul piano esistenziale e politico riesca a cadere in piedi. E chissà cos’altro si inventerà. Ma per ora penso che in questo giorno di San Valentino, ricorrenza un po’ commerciale e un po’ sentimentale, Renato Soru come personaggio del giorno ci possa stare.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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