Arrivederci, Roma, goodbye, au revoir. Basta la dolce malinconia di Renato Rascel per questo mezzo addio. Non serve niente di più importante. Mi sembra troppo persino quel bellissimo verso che la voce dei Matia Bazar Antonella Ruggiero cantava agli inizi degli anni Ottanta: “Roma, antica città, ora vecchia realtà, non ti accorgi di me e non sai che pena mi fai”. Perché sprecare un concetto così struggente, dotato di una sua dignità poetica, per commentare la opportuna o inopportuna gravidanza delle candidate al ruolo di sindaco o meglio l’inopportuna od opportuna candidatura di una donna gravida? Ecco perché davanti alle stupidaggini abissali che ci propone anche oggi il teatrino delle marionette del Pincio, il mio personaggio del giorno è Meo Patacca. Prima ho pensato a Rugantino, che nella tradizione un po’ si equivale: bullo de Trastevere, svelto di lingua e di coltello, in fondo un bravaccio. Ma questa maschera venuta fuori alla metà dell’Ottocento è stata poi nobilitata dalla commedia di Garinei e Giovannini, che ne ha fatto il personaggio un po’ più complesso e ribelle che la maggior parte di noi conosce. E allora il mio personaggio è proprio Meo Patacca. Nato nel Seicento, spiritoso, ubriacone e manesco, impertinente e in fondo critico verso il potere, ma assolutamente non disposto a contrastarlo se non con un paio di battute che papi e re in fondo hanno volentieri accettato con un sorriso in tutti questi secoli: “Fossero sempre così le ribellioni ci metterei la firma”. Ecco, Meo Patacca, rassegnato eroe da osteria, è il simbolo di questo nuova e più feroce puntata di “Capitale corrotta = Nazione infetta”, il titolo molto concettoso sotto il quale Manlio Cancogni avviò nel 1955 la sua inchiesta sugli scandali edilizi romani che in pochi mesi fece diventare adulto il neonato Espresso. Roma sta per rimettere la testa sotto il selciato, torna a una delle sue periodiche scomparse che ne hanno caratterizzato l’esistenza dal Trecento dopo Cristo, da quando Costantino l’abbandonò alla Chiesa (sintetizzo, naturalmente, lo so anch’io che la “Donazione” è una colossale e storica balla). Comunque è da allora che il soglio di Pietro condanna Roma a un ruolo di estrema visibilità formale e di estrema marginalità effettiva in ogni momento della storia del mondo. Alle volte un’esistenza nascosta in cui covavano peccati e corruzione e maturava lo spirito cinico e rassegnato del popolo e altri in cui la città tirava su la testa almeno sul piano dell’arte e dell’architettura. Sino alla grande scommessa del 1870, forse l’unico momento in cui la difficile e mai conclusa strada dell’unità d’Italia assunse un momento di verità e non fu soltanto una mascheratura del maldestro espansionismo piemontese gestito dalla monarchia sabauda: il momento di Roma capitale, quando questa città che non so perché è davvero dentro il cuore di tutti noi italiani (nel mio, almeno, c’è ed anche ben radicata), doveva diventare il cemento tra il Nord, il Sud e l’ex Stato della Chiesa. Ma anche quella scommessa si rivelò da subito perdente e ho paura che in questi giorni la dimostrazione sia più che mai evidente. Meo Patacca sfotte la destra sfilacciata dei Berlusconi, dei post fascisti e dei razzisti perché Bertolaso dice alla Meloni di fare la mamma e di non rompere le balle. E cosa ti aspettavi, Meo, da quell’ambience culturale? Io mi preoccuperei invece dell’altro schieramento, la cosiddetta sinistra, con le sue primarie de noantri, roba per intimi, con questo partito che vuole fare la classe dirigente e non ha neppure un briciolo della forza morale e dell’intelligenza politica necessarie a superare questa straordinaria crisi. Roma è il simbolo di un’Italia sfasciata, dove parliamo di politica per dimenticare che la crisi è morale e sociale. Roma crolla più del solito, caro Meo. Pochi anni di cattiva amministrazione hanno distrutto quello che Rutelli e Veltroni, pur con tutti i loro limiti, erano in fondo riusciti a costruire. Roma allora era un po’ più vicina a essere capitale d’Italia. Adesso è vicina invece a quel medioevo in cui nacquero tanti bei palazzi perché ogni signore aveva bisogno della sua fortezza nella quale proteggersi dopo i saccheggi e da chi voleva insidiargli il suo pezzo di potere. Il malaffare diffuso e la mafia organizzata hanno spazzato via ogni speranza e coinvolto in un discredito generale le principali parti politiche in campo. Un discredito alla Meo Patacca, beninteso, fatto di un cinico e rassegnato “so’ tutti eguali!”. E non da una ribellione. Degrado e delinquenza, in fondo, sono un ottimo ambiente per i bulli da osteria come te, caro Meo. E se continua così magari tornerà un Papa Re che riderà alle tue bestemmie purché tu non ti ribelli al suo potere.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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