In questi giorni sono giunte alla ribalta della cronaca immagini dolorose. A causa della peste suina, decine di maiali al pascolo brado in alcune zone interne della Sardegna sono stati requisiti per l’abbattimento. La cosa ha scatenato una vera rivolta popolare, con animate e accese discussioni tra gli allevatori e i loro sostenitori da una parte, e i rappresentanti delle istituzioni e delle forze dell’ordine dall’altra. L’immagine delle proteste e di quelle persone alla quale veniva espropriato un bene così importante, anche con l’uso della forza, hanno acceso nell’opinione pubblica l’indignazione. Il volto duro delle istituzioni, della Comunità Europea, dello Stato e della Regione, simboleggiato da Carabinieri e Guardie Forestali con le armi in mano, hanno restituito, ancora un volta, l’immagine di un potere pubblico che si avvale della forza per le proprie oscure ragioni. Che peccato vedere quei suini sequestrati e uccisi, poveri animali e povera gente, per quelle cervellotiche norme. Molti di quei maiali non erano neppure infetti. Tutti noi ci siamo immedesimati in quella povera gente alla quale veniva espropriato un bene così prezioso e, peraltro, così tipico della nostra tradizione. Vuoi mettere il sapore di un maialetto allevato allo stato brado? E’ sembrato, per un attimo, di ripiombare nell’800, nel periodo dell’Editto delle Chiudende, quando alla povera gente veniva espropriata la terra che aveva calpestato da millenni, e veniva negato loro il diritto all’uso civico dei boschi. Tutti noi ci siamo dunque immedesimati in quella gente che protestava. Nessuno, invece, si è immedesimato in quegli altri allevatori di suini, che in Sardegna rappresentano almeno il 99 per cento. A costoro, gli fu fatto un bel discorso, tempo fa. Gli dissero, a questi allevatori, che la peste suina era un flagello che rendeva la Sardegna, tutta, più povera. Una vergogna davanti agli occhi dell’Europa, che non si riusciva a debellare a causa del pascolo brado. Infatti la peste suina si espande a causa del contatto tra i cinghiali e gli animali domestici, e spesso il contagio resta dormiente e si propaga anche da piccoli focolai. A questo allevatore gli spiegarono che la peste suina rendeva tutta la Sardegna più povera perché i nostri salumi e i nostri prodotti certificati, di eccellente qualità, non potevano essere esportati, a causa della quarantena imposta dall’Europa. I comparti economici europei della carne suina, si pensi ai wurstel tedeschi o al jamon spagnolo, con fatturati cospicui e centinaia di migliaia di posti di lavoro, rischierebbero infatti la distruzione in caso di fuoriuscita della peste suina dall’isola. Sarebbe un disastro di immani proporzioni. Quindi neppure un panino al prosciutto può uscire fuori dalla Sardegna. Ed è un peccato, perché i nostri prodotti suinicoli sono di tale eccellenza che avrebbero un bel mercato fuori, e si potrebbero creare centinaia di posti di lavoro ai sardi. Ma a questo allevatore spiegarono anche che non solo di peste suina si trattava, ma anche di trichinellosi, un morbo molto pericoloso per l’uomo, che si diffonde a causa del mancato controllo dei suini. Il nostro allevatore aveva una coscienza civile, amore per la sua terra, voleva fare le cose onestamente e mettersi in regola. Allora ha acquisito un terreno, a spese sue. Poi, dato che voleva rispettare la tradizione e ottenere un prodotto di qualità, si è fatto tutta la trafila per ottenere le autorizzazioni per il pascolo semibrado. Solo che il pascolo semibrado autorizzato prevede una robusta e collaudata recinzione, che costa soldi. Un pacco di soldi. Poi ha dovuto allevare i maiali integrando l’alimentazione con mangimi di buona qualità, che il terreno da solo non poteva nutrirli, quei maiali. Poi li ha curati, nutriti bene, stabulati, fatti controllare dai veterinari. Il nostro allevatore ha speso un sacco di soldi e di energie, perché gli era stato detto che così la peste suina sarebbe stata debellata e il suo prodotto si sarebbe potuto vendere anche in continente, oppure dato al salumificio vicino, che gli avrebbe, magari, pure assunto suo figlio disoccupato. Tutte queste belle cose ha fatto il nostro allevatore, che rappresenta il 99 per cento degli allevatori sardi. Gente laboriosa, onesta, che si alza la mattina presto e lavora tutto il giorno, e si fa un culo come una casa per contribuire a rendere questa terra migliore, nel difficile equilibrio tra modernità e tradizione. E invece, dopo tanti anni, gli sbattono una bella porta in faccia, perché di debellare la peste suina, nonostante le implorazioni e le imprecazioni dell’Europa, in Sardegna, non se ne parla neppure. Ma perché? Perché una piccola percentuale degli allevatori, preferisce tenere il maiale al pascolo brado, a gratis nei terreni pubblici, senza spendere un soldo di mangimi, senza un serio controllo veterinario, senza un soldo in recinzioni e altre strutture, e facendo ovviamente pure un prezzo concorrenziale. Alla faccia della peste suina e della trichinellosi. Non solo, perché la politica, a suo tempo, ci mise il suo zampino perverso, dando i risarcimenti, belli congrui, agli allevatori con i maiali che venivano soppressi a causa della peste suina. Come a dire, la peste suina non come flagello, ma come risorsa di finanziamenti pubblici. Valla e debellare ora. Per cui tutti gli sforzi dell’allevatore onesto, tutti i buoni propositi, gli investimenti, le energie spese, le speranze di uno sviluppo del comparto, si infrangono in questa inerzia. Lontano dai riflettori, dalla ribalta della cronaca, dalla voci e dalle urla, dai messaggi distorti e semplificati, lontano da tutto ciò, del disagio di questo allevatore, non si cura nessuno. In questi giorni sono giunte alla ribalta della cronaca immagini dolorose. A causa della peste suina, centinaia di maiali al pascolo brado in alcune zone interne della Sardegna sono stati requisiti per l’abbattimento. La cosa ha scatenato una vera rivolta popolare, con animate e accese discussioni tra gli allevatori e i loro sostenitori da una parte, e i rappresentanti delle istituzioni e delle forze dell’ordine dall’altra. L’immagine delle proteste e di quelle persone alla quale veniva espropriato un bene così importante, anche con l’uso della forza, hanno acceso nell’opinione pubblica l’indignazione. Il volto duro delle istituzioni, della Comunità Europea, dello Stato e della Regione, simboleggiato da Carabinieri e Guardie Forestali con le armi in mano, hanno restituito, ancora un volta, l’immagine di un potere pubblico che si avvale della forza per le proprie oscure ragioni. Che peccato vedere quei suini sequestrati e uccisi, poveri animali e povera gente, per quelle cervellotiche norme. Molti di quei maiali non erano neppure infetti. Tutti noi ci siamo immedesimati in quella povera gente alla quale veniva espropriato un bene così prezioso e, peraltro, così tipico della nostra tradizione. Vuoi mettere il sapore di un maialetto allevato allo stato brado? E’ sembrato, per un attimo, di ripiombare nell’800, nel periodo dell’Editto delle Chiudende, quando alla povera gente veniva espropriata la terra che aveva calpestato da millenni, e veniva negato loro il diritto all’uso civico dei boschi. Tutti noi ci siamo dunque immedesimati in quella gente che protestava. Nessuno, invece, si è immedesimato in quegli altri allevatori di suini, che in Sardegna rappresentano almeno il 99 per cento. A costoro, gli fu fatto un bel discorso, tempo fa. Gli dissero, a questi allevatori, che la peste suina era un flagello che rendeva la Sardegna, tutta, più povera. Una vergogna davanti agli occhi dell’Europa, che non si riusciva a debellare a causa del pascolo brado. Infatti la peste suina si espande a causa del contatto tra i cinghiali e gli animali domestici, e spesso il contagio resta dormiente e si propaga anche da piccoli focolai. A questo allevatore gli spiegarono che la peste suina rendeva tutta la Sardegna più povera perché i nostri salumi e i nostri prodotti certificati, di eccellente qualità, non potevano essere esportati, a causa della quarantena imposta dall’Europa. I comparti economici europei della carne suina, si pensi ai wurstel tedeschi o al jamon spagnolo, con fatturati cospicui e centinaia di migliaia di posti di lavoro, rischierebbero infatti la distruzione in caso di fuoriuscita della peste suina dall’isola. Sarebbe un disastro di immani proporzioni. Quindi neppure un panino al prosciutto può uscire fuori dalla Sardegna. Ed è un peccato, perché i nostri prodotti suinicoli sono di tale eccellenza che avrebbero un bel mercato fuori, e si potrebbero creare centinaia di posti di lavoro ai sardi. Ma a questo allevatore spiegarono anche che non solo di peste suina si trattava, ma anche di trichinellosi, un morbo molto pericoloso per l’uomo, che si diffonde a causa del mancato controllo dei suini. Il nostro allevatore aveva una coscienza civile, amore per la sua terra, voleva fare le cose onestamente e mettersi in regola. Allora ha acquisito un terreno, a spese sue. Poi, dato che voleva rispettare la tradizione e ottenere un prodotto di qualità, si è fatto tutta la trafila per ottenere le autorizzazioni per il pascolo semibrado. Solo che il pascolo semibrado autorizzato prevede una robusta e collaudata recinzione, che costa soldi. Un pacco di soldi. Poi ha dovuto allevare i maiali integrando l’alimentazione con mangimi di buona qualità, che il terreno da solo non poteva nutrirli, quei maiali. Poi li ha curati, nutriti bene, stabulati, fatti controllare dai veterinari. Il nostro allevatore ha speso un sacco di soldi e di energie, perché gli era stato detto che così la peste suina sarebbe stata debellata e il suo prodotto si sarebbe potuto vendere anche in continente, oppure dato al salumificio vicino, che gli avrebbe, magari, pure assunto suo figlio disoccupato. Tutte queste belle cose ha fatto il nostro allevatore, che rappresenta il 99 per cento degli allevatori sardi. Gente laboriosa, onesta, che si alza la mattina presto e lavora tutto il giorno, e si fa un culo come una casa per contribuire a rendere questa terra migliore, nel difficile equilibrio tra modernità e tradizione. E invece, dopo tanti anni, gli sbattono una bella porta in faccia, perché di debellare la peste suina, nonostante le implorazioni e le imprecazioni dell’Europa, in Sardegna, non se ne parla neppure. Ma perché? Perché una piccola percentuale degli allevatori, preferisce tenere il maiale al pascolo brado, a gratis nei terreni pubblici, senza spendere un soldo di mangimi, senza un serio controllo veterinario, senza un soldo in recinzioni e altre strutture, e facendo ovviamente pure un prezzo concorrenziale. Alla faccia della peste suina e della trichinellosi. Non solo, perché la politica, a suo tempo, ci mise il suo zampino perverso, dando i risarcimenti, belli congrui, agli allevatori con i maiali che venivano soppressi a causa della peste suina. Come a dire, la peste suina non come flagello, ma come risorsa di finanziamenti pubblici. Valla e debellare ora. Per cui tutti gli sforzi dell’allevatore onesto, tutti i buoni propositi, gli investimenti, le energie spese, le speranze di uno sviluppo del comparto, si infrangono in questa inerzia. Lontano dai riflettori, dalla ribalta della cronaca, dalla voci e dalle urla, dai messaggi distorti e semplificati, lontano da tutto ciò, del disagio di questo allevatore, non si cura nessuno.
(foto tratta dal sito “ilmangiaweb.it”)
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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