A cinque minuti di cammino da casa mia c’è il parco giochi inaugurato un paio d’anni fa dal Comune e presto diventato luogo d’aggregazione di una varia umanità: bambini, adolescenti, genitori/sorveglianti, anziani in cerca di pace o della nostalgica visione di una gioventù spensierata. Ci sono le panchine, una piccola pista per correre in bici, le altalene, una fontana con lo zampillo dai riflessi iridescenti e l’ambitissimo campo da calcetto in terra battuta, dove mio figlio passa pomeriggi interi a tirar calci alla sfera di cuoio assieme a ragazzi di dodici, tredici e quattordici anni. Ieri si è presentato con un pallone Elia, un ragazzino delle scuole elementari. Ha sette o forse otto anni e chiedeva di essere ammesso alla partita. È stato subito respinto perché troppo piccolo e lui si è allontanato col suo pallone sotto braccio, lasciando credere ai calciatori di aver rinunciato a giocare. Il parco è nato all’ombra del nuovo palazzo comunale, un edificio enorme che raccoglie tutti gli uffici del municipio. Mio figlio e i compagni si erano già dimenticati della pretesa – ai loro occhi sfacciata – di Elia, quando se lo son visto piombare di nuovo in mezzo al campo, con un sorriso soddisfatto sul muso ed il pallone sottobraccio. Ma Elia, stavolta, non era solo. Dopo il rifiuto si era diretto verso il palazzo comunale, era entrato nell’ufficio della polizia muncipale, aveva incontrato due vigili urbani, aveva illustrato loro l’ingiustizia appena subita e li aveva convinti a seguirlo al campetto. E così mio figlio e i suoi compagni di calci al pallone si sono ritrovati a negoziare l’ammissione di Elia non col diretto interessato, ma con due nerboruti agenti della polizia locale in divisa determinati a difenderne la causa. Un minuto dopo Elia sgambettava in mezzo al campetto, il più piccolo tra calciatori quasi uomini. Solo grazie alla Forza Pubblica si era visto riconoscere il diritto alla partita di pallone, diritto che dovrebbe essere riconosciuto ad ogni bambino di questo mondo. E anche degli altri, se ce ne fossero.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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