E questa storia della “Vampa d’agosto” al professore non va giù. Poi, l’evidenza della metafora… Insomma! E’ vero che tutto succede a Ferragosto, ma Camilleri al professore non la dà a bere. Le vampe non sono quelle dell’estate siciliana, sono quelle del commissario, che ha già i suoi annetti ma si prende una scuffia da stordire per Adriana, bella come un giglio appena sbocciato e altrettanto giovane. Troppo giovane. Per di più in un morboso e rauco intreccio con una storia di sangue, perché Adriana è la gemella dell’ammazzata. E Salvo vuole acchiapparne l’assassino usando le morbide arti della sorella sosia che finge di essere la morta rediviva. E nella rete della seduzione però ci casca anche lui, Montalbano. Brrr! Roba tra l’Invernizio e de Sade. E Livia, la fidanzata legittima, in tutto questo che fine ha fatto? -Insomma, caro Cosimo, per me è inconcepibile. Io sono un professore, ho a che fare con tante ragazzine di quell’età, mai mi sognerei anche un pensiero meno che rispettoso nei loro confronti. “Per me”? Che pasticcio. Ma di chi stai parlando, professore? Di Salvo Montalbano o dell’italianista Giuseppe Marci? Docente ordinario alla facoltà di Studi umanistici dell’Università di Cagliari, direttore del Centro di studi filologici sardi, pubblicista presente nelle migliori pagine culturali di quotidiani e riviste, autore di importanti saggi e all’epoca dei fatti preside della sua Facoltà. Insomma, uno dei più interessanti intellettuali della nostra regione e il maggiore studioso di letteratura sarda che cosa ha da spartire con quel poliziotto di Vigata? Ecco, il problema è proprio questo. Da quando Camilleri gli ha detto che Montalbano è lui, si è innescato un viluppo esistenziale inarrestabile, un conclamato processo di identificazione. Il professor Marci e il dottor Montalbano, coetanei, hanno da quel momento cominciato a crescere e invecchiare insieme. Marci lo nega, ma quando Montalbano fa stupidaggini di carattere personale, soprattutto sul piano, come dire, dei sentimenti spinti, lui ne soffre. E l’ho visto con i miei occhi. Ma prima vi racconto come è cominciata la storia e così stasera, quando vi vedrete la puntata conclusiva della nuova serie di Montalbano-Zingaretti su Raiuno, avrete un elemento in più di riflessione. Tutto cominciò nel 1997. Camilleri aveva pubblicato l’anno prima il suo primo Montalbano, “La forma dell’acqua”, ma non era ancora arrivato il successo, non c’erano ancora a travolgerlo le centinaia di migliaia di copie dei lettori avvinti da quel poliziotto e da quella lingua siculo-italiana creata dall’autore non soltanto nel discorso diretto ma pure nella narrazione. Camilleri era conosciuto soltanto a pochi italiani di buon gusto che leggendo altre sue opere ne avevano intuito l’estremo interesse. Tra questi Giuseppe Marci, che ne aveva sentito parlare dal suo amico Sergio Atzeni. Il grande scrittore, sino alla sua tragica e beffarda morte nel 1995 sugli scogli di Carloforte, faceva parte come Camilleri della scuderia di Sellerio. E dopo averne letto alcune storie, Atzeni confidò a Marci: “Questo Camilleri è mio fratello”, alludendo alle affinità con la concezione della terra e degli uomini. Marci lesse Camilleri e gli piacque tanto che fece ai suoi studenti un corso sul “Birraio di Preston”. Al termine del quale, era il 1997, scrisse a Camilleri invitandolo a partecipare alla lezione conclusiva. Bene, ma come riconoscerci? Facile, appuntamento all’aeroporto di Cagliari e il professore sarà identificabile perché avrà in mano una copia del “Birraio di Preston”. “E così – racconterà poi Camilleri – io quel giorno vidi tra la folla dell’aeroporto di Cagliari Salvo Montalbano con in mano una copia del mio romanzo”. Montalbano era già nato, seppure da poco, ma fisicamente, racconterà Camilleri, era ancora un puzzle al quale mancavano tessere fondamentali. Il vedere Giuseppe Marci, ancora prima di parlarci, mise a punto l’immagine e Camilleri decise che Montalbano era Giuseppe Marci. Folti capelli e baffi, tra l’altro, oltre a una certa rassomiglianza con Giancarlo Giannini (descrizione che è possibile verificare nella foto del professore che pubblichiamo qui sopra). Niente a che fare con Zingaretti, insomma. E infatti, quando nel 1999 sulla scia del successo editoriale si decise di varare lo sceneggiato televisivo, il produttore Carlo degli Esposti si consultò con Camilleri: che attore scegliamo? E Camilleri gli rispose: l’italianista Giuseppe Marci è l’esatta manifestazione fisica del mio personaggio, guardalo per bene e saprai orientarti. A questo punto c’è un segmento di storia del quale non trovo però conferma. Qualcuno sostiene che il produttore, vista la somiglianza tra Marci e Giannini, si sarebbe rivolto proprio a questi. Ma l’attore, pur prevedendo, anzi, proprio prevedendo l’enorme successo anche televisivo che Montalbano avrebbe conseguito, pare avesse timore di restare intrappolato a vita nel personaggio: “Io non sono Gino Cervi – avrebbe detto Giannini –, che ha fatto Maigret però è sempre rimasto Gino Cervi. Io finirei per diventare totalmente Montalbano”. Non so quanto sia vero, non ho trovato testimonianze utili, ma qualcosa del genere ci dev’essere stata anche perché Camilleri, pur manifestando tutta la sua ammirazione per Zingaretti, in più occasioni ha parlato di Giannini come di un possibile interprete del suo personaggio. E in un colloquio tra lo scrittore e il linguista Tullio de Mauro, una volta il discorso cadde sulla fisicità di Montalbano. Camilleri raccontò a De Mauro del suo incontro con Marci, poi evoluto in un’amicizia e un sodalizio culturale che ancora dura. Tra l’altro è stato proprio Giuseppe Marci ad accogliere e presentare Camilleri nel 2013, quando l’Università di Cagliari gli ha conferito la laurea honoris causa. Comunque, in quel colloquio con De Mauro, Camilleri commentò: “Però il professor Marci è rimasto preso nel personaggio. Ogni tanto mi scrive: ho letto l’ultimo libro di Montalbano, mi sembra di stare invecchiando piuttosto maluccio”. Sarà vero? Giuseppe Marci non nega un certo interesse verso una visione comparata delle due esistenze: la sua e quella del commissario immaginario. Ma calca più sugli aspetti generazionali rispetto a quelli fisici. A esempio le comuni esperienze politiche nel Sessantotto, delle quali entrambi hanno conservato certe coerenze di fondo: “E così succede – ha detto una volta Marci in un’occasione pubblica dedicata a Camilleri e Montalbano – che quelli che non hanno tradito certi ideali pur seguendo poi un percorso politico riformista, hanno maturato un profondo senso dello Stato e della collettività in un Paese dove sembrano prevalere gli interessi personali. Il paradosso è che quelli che erano i rivoluzionari alla fine sono rimasti lì a difendere l’idea dello Stato”. E’ vero. Ma io vi parlo anche di una identificazione sempre generazionale ma un po’ più complessa sul piano psicologico. E ne ho avuto sentore un giorno a casa mia, mentre chiacchieravo con Giuseppe Marci e la sua signora. Il discorso è caduto sul problema Marci-Montalbano, mi sembra di ricordare perché gli avessi citato il dialogo tra Camilleri e De Mauro. Lui ci pensò un po’ sopra poi commentò ridendo -Camilleri esagera. Insomma, ci si scherza sopra. Non è che io abbia paura di invecchiare maluccio, è che mi dispiace che faccia invecchiare maluccio il suo personaggio. -Ma perché “maluccio”? -Sai, a esempio, queste sbandate per donne cosi giovani… non è dignitoso, mi dà fastidio… -A te? E perché? Gli occhi del professore assunsero una fissità che mi trapassava e capii che in quel momento non mi vedeva neppure perché era venuto fuori il Marci-Montalbano. -Come perché? A parte la questione di tradire la propria compagna, c’è anche il fatto dell’età. E’ inconcepibile, io sono un professore che ha molto rispetto dei suoi studenti, sai quante studentesse di quell’età frequento ogni giorno e non mi sono mai sognato neppure di pensare cose del genere. E fu allora che sua moglie, dolce e paziente, ma con un lampo ironico negli occhi che era un capolavoro della natura, lo riportò alla realtà. -Peppino, te l’ho detto mille volte, quello non sei tu. E’ un altro. E per di più uno che non esiste. L’altro giorno ho chiesto a Giuseppe Marci -Senti, mi autorizzi a raccontare questa storia? -Ti autorizzo, purché tu citi “Il figlio di Bakunin” di Sergio Atzeni nel passo in cui dice che la memoria infavola i nostri racconti. Io cito, ma la storia è vera. Ve lo dico io. E ora godetevi pure la puntata di Montalbano.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
Da Mattarella a Zelensky passando per Sanremo.
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
Un rider non si guarda in faccia (di Cosimo Filigheddu)
Ciao a Franco dei “ricchi e poveri”. (di Giampaolo Cassitta)
La musica che gira intorno all’Ucraina. (di Giampaolo Cassitta)
22 aprile 1945: nasce Demetrio Stratos: la voce dell’anima. (di Giampaolo Cassitta)
Ha vinto la musica (di Giampaolo Cassitta)
Sanremo non esiste (di Francesco Giorgioni)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.022 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design