Non sapevo chi fosse Berta Caceres fino a tre giorni fa, quando questa gagliarda sudamericana è stata uccisa nella sua casa di La Esperanza, in Honduras, nel cuore della notte. Letto un articolo, ho cercato di consultare ogni informazione mi fosse stato possibile per sapere di più su questa figura d’altri tempi, che ha speso la vita per difendere i diritti della comunità indigena Lenca cui lei stessa apparteneva. Berta Caceres era diventata un simbolo della lotta per il rispetto dell’ambiente e per il diritto alla terra della popolazione onduregna indigena, minacciata dalla famelica avanzata delle multinazionali dell’energia e dell’estrazione di minerali. Nel 1994 aveva fondato il Consiglio civico delle organizzazione popolari ed indigene, un soggetto di rappresentanza nato per garantire maggiore efficacia e visibilità alle istanze di questa povera gente. La più celebre tra queste battaglie è stata quella per impedire la costruzione di una imponente diga sul Rio Gualcarque, un investimento di una società cinese dalle conseguenze devastanti: lo sbarramento avrebbe tolto l’acqua alle seicento famiglie Lenca che risiedono lungo il fiume, insostituibile fonte di vita. Quella mobilitazione ebbe successo e il progetto venne ritirato, Berta venne insignita del premio Goldman – il più prestigioso nel campo della tutela ambientale – ma molti membri del Consiglio civico pagarono con la vita il loro attivismo. Berta Caceres sapeva di poter morire, tanto che le era stata assegnata una scorta. Evidentemente, però, la notte del 3 marzo quella protezione mancava o non è servita ad evitare il suo assassinio. Per spiegare meglio quel che aveva spinto Berta Caceres all’impegno, val la pena leggere una delle sue risposte in un’intervista rilasciata al giornale italiano Left, alla domanda su quali conseguenze avesse avuto il colpo di Stato in Honduras nel 2009. “Ha dato il via libera al neoliberismo più sfrenato, radicalizzando corruzione e abusi di potere. Le oltre 470 concessioni minerarie a multinazionali estere hanno svenduto il 31 per cento del territorio, compromesso ormai da cianuro, mercurio e arsenico usati nei processi di lavorazione. Per soddisfare il fabbisogno energetico del settore estrattivo, sono stati privatizzati 47 fiumi, con il via libera alla costruzione di 27 dighe, fra cui quella di Agua Zarca. Una pioggia di decreti ha autorizzato impianti turistici ed eolici su grande scala e concesso migliaia di miglia della Mosquitia honduregna, ecosistema protetto, per l’estrazione di petrolio. Per non parlare delle monocolture dell’agro-combustibile, che minacciano biodiversità e sovranità alimentare. Questi interessi e capitali sono legati al narcotraffico e all’élite governativa. Per questo è sempre più rischioso esprimere dissenso”.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo e-book "Cosa conta".
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