La terra mi ha rubato al mare, per questo vedi le mie labbra, di sabbia, le mie parole, scogli ricoperti di muschio, dice nei suoi versi la poetessa siriana Maram al-Masri, fondendosi con la sua terra millenaria in una gamma di sfumature che soltanto la Siria può offrire, o meglio poteva offrire. La Siria, la patria di Ebla, di Palmira, di Aleppo e di Damasco ora brucia, anzi muore, lentamente, giorno dopo giorno, senza che i medici accorsi, distratti, al suo capezzale si decidano a intervenire; eppure, soltanto cinque anni fa, la Siria era ancora la Siria, una nazione faro nelle acque agitate del mondo arabo, nonostante la guida discussa di Assad. Quando Assad arrivò in Siria, infatti, dopo la morte dell’anziano padre, in molti ritenevano che sarebbe stato manovrato dai vecchi collaboratori del Regime, e questo nonostante le rapide promesse di riforme politiche ed economiche del giovane oftalmologo proveniente da Londra. L’ambiguità del delfino del fondatore dello Stato siriano crebbe in seguito all’alleanza di Assad con Saddam, ai tempi della Guerra del Golfo, e con la stessa condotta tenuta nei confronti del partito degli Hezbollah libanesi, mai controllati e anzi spesso aiutati nel portare avanti attentati terroristici contro Israele, di cui la Siria sin dall’inizio divenne un fiero nemico. Con il tempo è apparso chiaro, dunque, come la Siria, paese non straordinariamente ricco e comunque quasi privo di petrolio, non potendo contare su particolari alleanze politico-economiche si è fin dall’inizio adattato a un modello di Stato forte, in grado di equilibrare le due anime dell’Islamismo moderno, quella sciita (generalmente estremista) e quella sunnita (generalmente più moderata), affiliandosi poi alla prima soltanto perché minoritaria nel paese e quindi in grado di giustificare l’uso della forza. L’adesione alla fede alawita ha fatto apparire la famiglia al governo come paladina del mondo arabo, che per questo non ha mai posto l’accento sulle violazioni dei diritti umani all’interno di un paese in larga parte abitato dagli avversari moderati sunniti. In realtà la Siria rappresentava quel tipo di paese che piaceva anche agli Stati Uniti, sempre in grado di controllare l’equilibrio nella regione nonostante continui rovesciamenti di fronte e fronde terroristiche mai dome. Quando, in seguito alla cosiddetta Primavera araba, le varie anime ribelli del paese iniziarono la rivolta, spostandosi dal sud del Paese sino alla capitale Damasco, non tutti furono concordi nel comprendere le ragioni di un popolo pur sempre governato da uno stato laico. Si diceva: “Ma come, passi per la Libia, per la Tunisia, per l’Iran, ma la Siria è uno stato occidentalizzato.” Presto però la realtà fu chiara a tutti: la famiglia Assad aveva fatto negli anni, con metodi di polizia, terra bruciata, unicamente per rafforzare il suo potere e senza fare grosse differenze tra i suoi nemici, per cui tra i ribelli si potevano contare tutte le formazioni del panorama nazionale, esclusa la famiglia al governo. Oltre al Fis (gruppo coeso al suo interno che chiede il ritorno alla Sharia) e all’Esl (esercito siriano libero, appoggiato dall’Occidente, ma in predicato d’essere soltanto un bacino di potenziali aderenti all’Is), a combattere vi sono praticamente tutte le minoranze arabe. Tra queste, la componente più pericolosa è sicuramente l’Is, gruppo terrorista islamico sunnita, operante sia in Iraq che in Siria, il cui obiettivo è creare un Califfato in Medio Oriente. Sulla nascita di questa formazione, è noto, molte delle responsabilità sono da addebitarsi agli Usa: per esempio quando Leslie Gelb, ex presidente del Council of Foreign Relations, sul New York Times, nel 2003 gli affidava un terzo del potenziale territorio dell’Iraq post-Saddam suddiviso ingenuamente tra Curdi, Sciiti e Sunniti, o quando Joe Biden, tre anni dopo propose addirittura un piano di spartizione che tenesse conto di questa nascente formazione, o ancora quando la CIA, all’indomani della Primavera araba, fornì armi all’ala pseudo moderata di Al-Nusra (ora alleata dell’Is) in funzione anti-Assad, salvo poi pentirsene. In realtà l’Is, intuendo il peso strategico del conflitto siriano, ha sfruttato la guerra tra i ribelli e il Regime, per reclutare militanti islamici nelle sue fila. Qui ha anche accumulato denaro vendendo il petrolio dei giacimenti controllati e contrabbandando antichità fuori dal paese. Ora, Putin, puntando sulle antiche alleanze, promette di appoggiare il governo di Damasco partendo dalla forza del suo esercito per scatenare raid aerei contro l’Is, da concordare in seguito soltanto con il mandato dell’Onu, convinto che su chi debba governare spetti proprio ai siriani decidere, non agli Usa o alla Francia. Necessario, a questo punto, diventa il collegamento tra le forze militari sul campo per evitare ulteriori conflitti, e allora il presidente russo avvia prove di dialogo con il presidente americano Barack Obama, da sempre convinto invece che Assad sia un tiranno, reo di aver ucciso con il suo regime donne e bambini. Gli Usa, infatti, non considerano il dispiegamento delle forze militari russe in Siria risolutivo, e aspettano l’esito dalle azioni di Mosca per capire se i Russi usano la loro forza militare solamente per combattere l’Is o se lo fanno per rafforzare la lotta di Assad contro quello che la Casa Bianca definisce il suo stesso popolo. Obama non ci sta a dar credito alla tesi di Putin, che afferma che il sostenere tiranni come Assad sia legittimo perché l’alternativa in realtà è molto peggio. Secondo il presidente degli Stati Uniti, Assad ha brutalizzato il suo popolo e la soluzione da trovare in Siria deve essere la transizione verso un nuovo leader; il presidente russo ribatte che non cooperare con il governo di Assad sarebbe un grave errore, perché per combattere l’Is occorre una coalizione internazionale come quella che si era creata contro Hitler durante la Seconda guerra mondiale. Sembra di assistere nuovamente all’eterno scontro ideologico tra machiavellismo e umanitarismo. E mentre Teheran si fa coinvolgere nelle trattative portate avanti dalla Germania e dai membri permanenti del consiglio di sicurezza, il mondo attende ancora un accordo congiunto Usa-Russia contro l’Is, che possa eliminare l’ultima variabile impazzita in uno scacchiere di già difficile interpretazione, soprattutto quando non affidato tradizionalmente a una guida forte.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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