La paura più temibile è la paura diffusa, sparsa, indistinta, disancorata, fluttuante, priva di un indirizzo o di una causa chiari; la paura che ci perseguita senza ragione, la minaccia che dovremmo temere e che si intravede ovunque, ma non si mostra mai chiaramente. Paura è il nome che diamo alla nostra incertezza: alla nostra ignoranza della minaccia, o di ciò che c’è da fare per arrestarne il cammino.
Scriveva così Zygmunt Bauman in uno dei suoi capitoli sulla modernità, quello dedicato al paradosso della paura crescente in un’epoca che può essere oggettivamente definita la più sicura dall’inizio della storia umana.
Se ogni epoca ha la paura che merita, nella nostra era può anche accadere che le paure vengano create e imposte dall’esterno. Qualcuno decide di chi o cosa si debba avere paura.
Dopo l’11 Settembre, che ha collocato i nuovi laboratori mondiali della paura nel Medio Oriente, questo istinto si è trasformato in psicosi nei confronti di quello stesso fenomeno che della paura fa un uso strumentale, il terrorismo .
Come il terrorismo, la vicenda del nucleare iraniano ha molto a che fare con le possibili declinazioni della paura imposta.
La questione è stata illustrata mediaticamente in termini estremamente semplici: è dell’Iran e del suo specifico nucleare che bisogna avere paura, poiché concepito per scopi bellici. Ci hanno detto, perché così è stato deciso, che il nucleare non è cattivo di per sé, ma dipende da chi lo usa, per cui non bisogna temere quello francese o quello giapponese, meno che mai quello israeliano, ma quello che viene dall’Iran.
Secondo il premier israeliano Netanyahu lo scopo del nucleare iraniano, oltre le finalità non pacifiche, avrebbe anche un obiettivo mirato: la distruzione di Israele. Netanyahu lo gridava già dai primi anni ’90, quando profetizzava che la Repubblica Islamica si sarebbe dotata dell’arma letale entro il 1999. Lo stesso Netanyahu definisce oggi come “errore storico” il balletto degli accordi svizzeri attorno all’atomo iraniano, lui che di errori storici se ne intende.
In onore alla costruzione di questa paura si è deciso di strozzare economicamente a suon di sanzioni un paese di 80 milioni di abitanti che fonda quasi interamente la sua economia sulla industria petrolifera.
In un articolo che probabilmente non leggeremo mai in italiano, il giornalista americano Gareth Porter di errori sul nucleare iraniano ne cita quattro, tutti imputabili, udite udite, all’Occidente.
In primis, scrive Porter sovvertendo il semplicistico schema abbozzato sopra e diffuso in questi anni, gli Stati Uniti avrebbero negato all’Iran un diritto legittimo – sviluppare tecnologia nucleare a scopi pacifici- con l’aggravante di fornire una lettura erronea, avvallando la tesi delle belligeranti intenzioni del paese degli ayatollah.
Sarebbero seguite valutazioni erronee dei servizi di intelligence Usa, omissioni volute, tra cui spicca una fatwa di Ruhollah Khomeini che vietava l’utilizzo di armi di distruzione di massa, in quanto contrarie, nei loro effetti, ai principi islamici. Il quadro di depistaggio e disinformazione si completa con l’intervento, guarda caso, del Mossad, che nella ricostruzione di Porter avrebbe fabbricato una notevole mole di documenti su fantomatici esperimenti nucleari iraniani, documenti giudicati inattendibili dall’AIEA, l’agenzia internazionale per l’energia atomica.
Ma non basta, dal momento che il refrain israeliano sulla pericolosità del nucleare che viene dall’Iran è uno dei capisaldi della retorica della paura made in Israel. Una paura divenuta una fisima e che la maggioranza della popolazione di uno stato ossessionato dalla propria sicurezza ha ancora una volta legittimato col voto dello scorso Marzo.
In un mondo dove qualcuno decide per noi, mi prendo la libertà di scegliere di chi e cosa avere paura.
Io non ho paura dell’Iran.
Io ho paura di chi è ossessionato dalla paura.
Io ho paura della strumentalizzazione israeliana della paura.
Io ho paura di Israele.
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