Ci siamo messi il cuore in pace, in questa città. Sarà un’ordinanza a eliminare gli accattoni dai nostri sguardi benpensanti e disgustati. Un foglio di carta intestata firmato dal sindaco ripulirà strade e coscienze. Vietato bivaccare, vietato impadronirsi di spazi pubblici e aree verdi, vietato stazionare su panchine e marciapiedi. Come quei due, un uomo e una donna, che stavano nella canicola d’agosto con alcuni strati di indumenti, gli unici che avevano, indosso e ti facevano sudare solo a vederli. Passeggiavo in centro slinguazzando il cono gelato e mi sono trovato di fronte questi due disperati che mi chiedevano soldi. Ve li do a patto che li usiate per l’acqua, per lavarvi, che puzzate.
Da tempo si segnalavano lamentele crescenti sulla presenza di questi figli e padri di nessuno, di queste sporche figure umane senza identità che imbrattano il panorama e offuscano la nostra sacrosanta e meritata voglia di serenità e decoro. Quei quattro passi tra noi che ci fanno credere di vivere in un posto di gente per bene, civile, pulita e profumata.
E’ bella, l’ordinanza. E’ come scrivere “fuori dai coglioni” in bella grafia. E pensare che ci sono strutture apposite per questi stracci umani. C’è un dormitorio, c’è una mensa. Però, alcuni non gradiscono e se ne stanno all’aperto, a deturpare il decoro urbano con la loro presenza e la mano aperta in attesa di qualche euro.
Non sono gli unici depurtapatori di prezioso suolo pubblico. Qui, da quando è stata avviata la raccolta differenziata dei rifiuti porta a porta, la città, le coste e le campagne sono piene di mondezza che parecchi miei concittadini di “classe A” depositano ovunque: cunette, marciapiedi e spazi verdi, belvedere e piazzole di sosta. C’è spazzatura di ogni genere. Ma loro non sono accattoni, non ti rompono i coglioni con questa rogna dello spicciolo che serve per mangiare, per un caffé, per malattie vere o presunte, per carità e basta. E poi non si fanno vedere. Caricano la macchina di sacchetti di mondezza, attendono il momento giusto e li abbandonano per strada, oppure li lanciano dal finestrino. Nessuno li vede e nessuno li punisce. C’è sempre qualcuno che raccoglie e paga per loro.
Di accattoni ne conosco parecchi. Ce ne sono ovunque. All’esterno dei supermercati, ad esempio. Come quella donna che ti sorride e ti saluta. All’inizio con “buongiorno” e “buonasera”, poi, a furia di vedermi, si è sbilanciata con un “ciao”. Non mi ha mai chiesto un euro. Ne ho conosciuti altri che sono soliti usare tattiche diverse. Insistono e, a volte, danno noia. Mi è capitato di dover ribadire il “no”, anche con asprezza. E tutto è finito lì. Mi è capitato di sentirmi in dovere di comprare un paio di inutili calzini a un ambulante di colore improvvisatosi parcheggiatore. E mi è capitato di dover accettare un accendino in cambio dell’euro (uno) che il mio portafogli poteva offire in dono a chi faceva appello alla mia generosità per alleviare lo sconforto di una giornata di merda. Mai obbligato, però.
E poi c’è Pamela, una zingara accattona dall’età indefinita. Con il tempo è diventata un personaggio pittoresco e si è ritagliata uno spazio nel “panorama” umano di questa città. La conoscono tutti. Non fa male a nessuno. Esiste e basta. A modo suo, che non per forza deve coincidere con il mio.
Non sarà un’ordinanza a regalarci il mondo perfetto.
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