Il Milite Ignoto risalì con un po’ di affanno gli ultimi gradoni dell’Altare della Patria. Gli pesava il 91 rugginoso sulla spalla, lo impicciava penzoloni sul petto la maschera antigas dal cuoio secco che si sgretolava in polvere nera, lo infastidiva lo zaino che raschiava la schiena attraverso la grigioverde pulita ma lisa tanto da ridursi a un velo.Era di turno la Marina, per il picchetto. Il Milite Ignoto stentò a riconoscerli come soldati. Di marinai in armi ne aveva visto soltanto nella grande nave che lo aveva portato in Continente.Al penultimo gradone con gesto meccanico si passò il palmo sul mento che la barba fosse fatta, toccò l’elmetto con la cresta di ferro che fosse dritto, scosse il fucile che non pendesse su un fianco. Prese fiato e accennando l’attenti si piazzò davanti a uno dei marinai: “Portami dal tuo superiore, per favore”.Il Milite Ignoto non si intendeva di picchetti e guardie d’onore. A dirla tutta, di cerimonie non sapeva quasi niente. Solo di guerra, sapeva. Appena sbarcato, era salito su un treno con gli altri delle sue parti. Scendevano a fermate diverse, chi in grandi gruppi, chi in piccoli, chi solo. Lui era sceso con uno che erano amici da bambini. Pochi mesi di addestramento, poi di nuovo in treno, al fronte. Dopo due giorni di trincea l’amico aveva fatto appena in tempo a vederlo prima che lo portassero via. Lui dormiva quando l’altro era di guardia. Dovevano darsi il cambio. Aveva riconosciuto il morto anche se aveva i capelli pettinati in mezzo da un palla crucca. “Il tuo compare ha tirato fuori la testa – gli aveva detto l’ufficiale che lo osservava mentre guardava il cadavere -. E i cecchini sono sempre a caccia di coglioni”.Lui l’aveva tenuto a mente e così aveva guadagnato sei giorni di vita. Al settimo, invece di riposarsi come Nostro Signore, il fischietto dell’ufficiale aveva ordinato la carica. Dopo la fischiatina, l’ufficiale aveva gridato : “Baaa-ionette! Tutti fuori!” . Se lo ricordava bene quell’ufficiale quando dopo un’ora con gli stivali che pestavano il macello di carne e fango aveva urlato a chi era ancora in piedi: “Indietro, tutti indietro, ci stanno ammazzando tutt…”. L’ultima parola gli era scoppiata fuori da una bolla di saliva rossa, ché una raffica di Schwarzlose l’aveva spaccato in due. Si chiese se anche i Crucchi ci pisciavano sopra, alle mitragliatrici, come gli italiani, per raffreddarle.Poi era stato un bel dire che se loro si erano ritirati era perché lo aveva ordinato quello lì. L’ufficiale non c’era più a dire che era vero, che fucilassero lui, non loro. E allora, via: “Uno due tre quattro… e dieci. Tu! Uno due… e dieci. Anche tu!”. E così sino a quando non era toccato a lui. Tutti contro il muro, con i carabinieri che puntavano e il comandante che dava l’ordine di sparare e non li guardava in faccia perché lo sapeva anche lui come erano andate davvero le cose.Lui prima di beccarsi la scarica aveva gettato l’occhio oltre il plotone, perché vedeva dei fanti che facevano qualcosa. Cos’è? Scavavano la fossa? Scampati alla fucilazione per sorteggio, non si erano fidati a fargli fare i fucilatori, ma come becchini andavano bene.Ta-pum! Poi era passato l’ufficiale con la Glisenti Bixia e aveva sparato in testa a chi ancora rantolava. La parabellum gli aveva spappolato la faccia, che quando lo avevano buttato nella fossa non lo avrebbero riconosciuto neppure il padre e la madre e gli zii messi insieme. Ma non avevano fatto in tempo a spalargli sopra la terra. Il contrattacco crucco era stato improvviso, perché gli italiani erano impegnati a giocare alla corte marziale invece di tenere gli occhi puntati sulla terra di nessuno. Tutto all’aria, tutto travolto. Anche i morti. Tutti mischiati. Quelli uccisi dalle palle crucche e quelli fucilati dai carabinieri. Eroi e traditori nella stessa terra. Perché la terra non è puttana e certe coglionate di chi le cammina sopra proprio non le digerisce.E così quando dappertutto si erano chiuse le botteghe dei macellai e c’era bisogno di un Milite Ignoto da spostare di tomba, la donna piangente che doveva scegliere il morticino, aveva avuto il noto mancamento proprio davanti alla sua cassa.Pensava a tutto questo mentre attendeva la risposta del marinaio rigido con il mitra sotto braccio e gli occhi rivolti all’infinito. Perché ci aveva messo quasi cent’anni a decidersi, ma voleva fare giustizia. Non andava bene che Re e Presidenti lo trattassero da eroe. Se era fuggito lo aveva fatto per obbedire a un ordine, questo è vero, ma comunque era stato fucilato per codardia. Bisognava che cambiassero Milite Ignoto. Bastava, per esempio, che prendessero quel polentone che appena finito di scavare la fossa comune si era beccato una bruciatina di lanciafiamme crucco durante l’assalto improvviso. Anche lui irriconoscibile e anche lui – se vogliamo – era tra quelli che prima se n’erano tornati in trincea come aveva ordinato l’ufficiale morto. Ma almeno, dopo, a uccidere il polentone arrostito era stato il nemico, non i Reali Carabinieri italiani.“Portami dal superiore”, ripeté al marinaio.Quello distolse per un attimo gli occhi dall’infinito e solo con quelli, senza muovere il viso e sillabare un fiato, tentò di dirgli: “Noi qui di guardia non possiamo muoverci e parlare, il capoposto è dietro quella porticina di metallo. Ma tu chi sei?”.Lui capì e prima di avviarsi alla porticina immersa nel mare di marmo rispose: “Il Milite Ignoto. Mi chiamo…”“Zitto, zitto! – lo bloccò il marinaio con un’occhiata severa – Se sei ignoto non devi dire a nessuno chi sei”.Lui assentì per educazione poi scrollando le spalle bussò alla porticina pensando: “Mah, mi sembra una fesseria. Chiarirò meglio con il superiore”.Di queste divise moderne ne capiva meno delle sue e cercò di decifrare i gradi dell’ufficiale che gli puntava uno sguardo interrogativo: “Signor… sergente?”Quello ridacchiando fece di sì con la testa: “Ci hai azzeccato, soldato. E tu, questa divisa fuori ordinanza…?”“Io, signor sergente, sarei quello – rispose indicando con il mento il sacello lì a fianco -: il Milite Ignoto”.Il capoposto si mise subito sull’attenti ma poi pensò che in fondo era pur sempre un sottoposto, ma si raddrizzò la cravatta e stette bene dritto senza appoggiarsi con la mano allo stipite della porticina: “E cosa desideri?”“Vorrei cambiarmi di tomba, c’è stato un equivoco. Io mi chiamo…”.“E come ti vuoi chiamare! Se sei ignoto non ti devi chiamare”.“Signorsì. Ma se lei mi fa dire, potrà controllare che io venni fucil…”“Blablabla… non sento nulla non sento nulla”, fece pronto il sergente con le mani sulle orecchie.“Se vuole glielo ripeto, ma se fa blabla e si tappa le orecchie, signore, non potrà…”.“Zitto zitto! Aspetta qui fuori, se vuoi siediti sullo scalino, ma dietro l’angolo. Non farti vedere dalla piazza”.Il Milite Ignoto obbedì e attraverso uno spiraglio vide il sergente parlare al telefono. Dopo un po’ uscì e gli chiese: “Vuoi qualcosa da bere? Ora vengono a prenderti”.Ai piedi dell’Altare arrivarono tre macchinone targate EI. Avevano dovuto mettere la sirena perché davanti a Palazzo Venezia c’era un imbottigliamento. E così la piccola folla di curiosi vide un militare in grigioverde scendere sperduto gli scaloni tra un battaglione di carabinieri in alta uniforme. La divisa non era la stessa, ma lui l’aveva riconosciuta. E anche se non lo potevano fucilare un’altra volta, gli facevano un po’ di impressione.“Aggiustati il colletto – gli gridò il sergente dall’alto – che ti portano da un pezzo grosso”.Obbedì anche a questo ordine, durante il viaggio. Con le sirene, sino via XX Settembre non ci vollero più di dieci minuti. Era seduto tra due graduati che non dicevano una parola.Solo l’autista, in basco, mentre costeggiavano il Quirinale, guardandolo dallo specchietto gli disse: “Soldato, qui ci sta il Presidente. Prima ci stava il Re”.Lui si voltò a guardare il palazzo sinché non lo perse di vista. Poi la macchina si arrestò bruscamente e il battaglione in alta uniforme lo trascinò verso un imponente ingresso. “Stato Maggiore… Difesa”, fece in tempo a leggere. E si puntò sui piedi come aveva visto fare ai muli. Ma a quelli di casa sua, che quelli di guerra non aveva fatto in tempo a conoscerli.“Cosa c’è, perché ti fermi?”.“Cos’è questa Difesa? Io voglio parlare con un ufficiale dell’esercito”.“Ora si chiama così. Ma sarebbe il Ministero della Guerra”, gli spiegò impaziente il carabiniere.E ripresero la marcia tra corridoi e ascensori sino a un elegante salottino dove lo fecero sedere su un divanetto davanti a un tavolino con una bottiglia di acqua gassata e qualche bicchiere e con un militare disarmato che lo sorvegliava immobile quanto il grande orologio a pendolo che nel silenzio ticchettava come una mitragliatrice.“Eccolo, signor generale”, disse entrando all’improvviso il capo dei carabinieri, seguito da un signore in borghese con i radi capelli bianchi pettinati all’indietro, corti baffi anch’essi bianchi e un abito di lino con la cravatta blu.Il signore guardò sorridendo il Milite Ignoto. Lui si era messo sull’attenti, ma aveva qualche dubbio perché l’altro non aveva la divisa. Però il carabiniere l’aveva chiamato “Signor Generale”.“Stai comodo, soldato, stai comodo”, gli disse l’uomo. Era paterno, come tutti i generali.Il Milite Ignoto scattò in posizione di riposo.“Ma no. Se ti dico comodo… Siediti pure”.“Non mi permetto”.“Allora mettiamola così: prima mi siedo io. E poi, vedi, sono in borghese. Non sei obbligato neppure a salutarmi”.Il Milite Ignoto, che di regole aveva fatto in tempo a impararne poche, si sedette sul bordo del divanetto, anche perché era impedito dallo zaino.“Vuoi dare a me fucile e zaino?”.“Grazie, signore”.Il generale fece cenno al militare di guardia che liberò il fante dagli ingombri e appese tutto a un attaccapanni accanto alla porta.“Bene bene – fece soddisfatto il generale – E ora lasciateci soli”.Il militare di guardia scattò sull’attenti, fece dietrofront e uscì.Il carabiniere esitava: “Ma, signor generale, è certo che…”“Colonnello, per favore, mi attenda fuori”. Lo interruppe il generale con un sorriso gelido.Rimasti soli, il generale si alzò e andò verso l’attaccapanni. Sfiorò il fucile e si voltò verso il Milite Ignoto: “Il 91… Questo ha un po’ di ruggine ma è quasi nuovo. L’hai usato poco?”.“Sa, signore, dopo sette giorni di fronte io…”“Zitto, zitto! Io cosa? Una cosa così immensa, mostruosa, collettiva come la guerra, Saturno che divora i suoi figli per ricreare la vita, mater amorosa mater horribilis, e tu mi dici ‘ io’. Tu, io, noi… insetti davanti alla terribile grandezza della guerra”.Il Milite Ignoto di tutto il discorso aveva capito solo l’inizio: zitto! E obbedì.Il generale si alzò, sollevò l’elmetto del fante e lo rigirò tra le mani con ammirata curiosità, come aveva fatto con il fucile. Poi con un improvviso gesto d’affetto scompigliò i capelli del soldato: “Tu hai dato il sangue alla patria, lo sai?”.Il Milite Ignoto fece per rispondere ma poi capì che il generale non voleva risposte, per adesso. E lo stette a sentire.“Hai dato il tuo sangue come Cristo ci ha dato il suo. E come lui ripete il suo dono nell’Eucaristia, tu ripeti il tuo per ogni italiano che ti rende onore davanti al sacello. Vuoi bere?”.Il Milite Ignoto capì che quell’ultima era una vera domanda e fece segno di no con la testa, poi si azzardò a chiedere: “Scusi, signore, ma Cristo… vorrebbe dire come… Nostro Signore”.“Proprio lui, ragazzo mio”, rise il generale. Poi balzò in piedi con insospettata agilità e si esibì in un attenti perfetto: testa all’indietro, braccia e mani aderenti ai fianchi, talloni uniti, punte dei piedi leggermente distanziate. Il Milite Ignoto balzò anche lui ma il generale lo bloccò con un braccio affettuoso intorno alle spalle: “No, tu stai seduto. Volevo solo dimostrarti che sono io che dovrei stare sull’attenti davanti a te. Capisci la tua importanza?”.Il Milite Ignoto chinò la testa per pensare. Ed ebbe una vertigine, cancellò quei cent’anni di onori usurpati e trascorsi nel rimorso, quel generale sull’attenti gli aveva fatto capire il senso vero della grandezza, forse anche autorità più alte del generale, forse persino il padrone del caseificio dove suo padre conferiva il latte delle loro pecore si sarebbe messo sull’attenti davanti a lui.Ma poi, proprio il pensiero del padre, lo riportò in sé. Una volta il bandito Gaspeddu lo aveva atteso all’ovile: “Mi devi custodire uno qui per un mese. Ogni tanto ti metti un cappuccio, lo togli a lui e gli dai da mangiare. Da domani. Quando lo riportiamo via, ti ritrovi cinquanta pecore in più nel gregge e nessuno saprà niente”.Cinquanta pecore erano più di quelle che già aveva. Volevano dire la ricchezza. Però lui disse a Gaspeddu: “Se tu hai fame ti do da mangiare. Ma se domani ti presenti con uno incatenato, ti sparo in faccia”.Gaspeddu voltò le spalle senza dire una parola e il padre del Milite Ignoto tornò in paese, riunì moglie e figli, chiuse la porta e disse: “Forse mi devono ammazzare per questo e quest’altro, non vi dico chi perché sennò ammazza anche a voi. Comunque vada, sappiate che andava fatto così”.Pensò al padre, per lunghi minuti, sotto gli occhi sorridenti del generale, e riacquistò la sua determinazione: “Signor Generale, io sono stato fucilato per diserzione davanti al nemico”.Il generale si irrigidì solo per un attimo. Aveva sentito? Al Milite Ignoto sembrò di no perché il suo sorriso era lo stesso e lo sguardo di ghiaccio ce lo aveva anche prima: “Hai capito, figlio mio? Ti è capitato in sorte un grande onore, un grande peso”.“Ma io sono un diser…”“Non mi interrompere, caro, è importante ciò che ti dico. In ognuno di noi ci sono ombre, ma quando arrivano chiamate come quella che ti è toccata, tutto viene cancellato. C’è solo l’onore e c’è solo il dovere”.“Quale dovere?”.“Il dovere di difendere la Patria dal nemico”.“Ma è proprio quello che non ho fatto”.“Cosa dici? Non ti capisco, solleva la voce. Anzi, non parlare e stammi a sentire. Il nemico non è più quello di allora. Il nemico ora è travestito da amico. Il nemico è quello che insulta la guerra, la nostra madre, che si lamenta del sangue versato piuttosto che rendergli onore, che vaneggia di pace impossibile invece di prepararsi a combattere. Contro di lui tu devi essere un esempio”.“Ma cosa devo fare?”, implorò frastornato il Milite Ignoto.“Tornare nel tuo sacello e goderti sereno gli onori che ti verranno tributati ancora per anni e anni”.“E’ un ordine?”“Sì, ragazzo mio, è un ordine!”“Sa, una volta mi sono messo nei guai per avere obbedito a un ordine”.“Sì, ma io sarò sempre qui ad assumermi ogni responsabilità”. Così rispose il generale, dimostrando di saperne molto più di quanto sembrava.“Allora… vado?”.“Vai, figliolo”.Il Milite Ignoto accettò imbarazzato l’abbraccio del Generale e si diresse verso il corridoio dove lo attendeva il battaglione di carabinieri. Il generale fece segno al colonnello di avvicinarsi: “Riportatelo alla cripta: una sola macchina e con i vetri oscurati!”E mentre quello stava per dire signorsì, aggiunse guardandolo con occhi da serpente: “Poi, al ritorno, venga da me e mi spieghi quella pagliacciata delle macchine con targa militare e sirene in funzione. Così saranno due i coglioni che oggi avrò sistemato”.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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