La tradizione è un fenomeno rassicurante perché trasporta un prodotto finito e lo consegna nella sua relativa perfezione al destinatario; i problemi nascono quando un artista introduce varianti imponderabili che mettono in discussione lo status quo. Allora nella continuità statica si introduce il mutamento che sorprende, inquieta il lettore e il cultore del genere e produce un’ azione corrosiva che libera il modello dalla rigidità della norma retorica e in ultima istanza dalla pigrizia e dalla noia dell’immobilismo. L’opera letteraria può subire allora una forma di pressione che apre le porte alla novità. Salutiamo perciò con piacere l’innovazione che Cosimo Filigheddu e Mario Lubino hanno apportato alla loro commedia in italiano e sassarese Quelli di via Politeama. Il quadro di riferimento conduce ad un sottosistema composto da determinate ambientazioni e meccanismi di comicità: alludo al tipico canovaccio in cui operano personaggi umili, immersi in una scenografia “povera”, fatta di pochi oggetti in un interno e alla caratura bassa del lessico, colorito dal turpiloquio.Dall’intreccio fra il linguaggio di livello medio e quello popolaresco si creano dei registri complessi: si può incontrare l’allusione oscena, la parola turpe, che, scagliata in mezzo al pubblico, suona come un atto liberatorio ed ilare, ma anche la cifra più colta connotata dall’effetto di straniamento. Il commediografo, che ha cultura e sensibilità, dietro l’apparente ruvidità stilistica, filtra anche l’ espressione educata dalla retorica classica e illuminata dal buon gusto.In Quelli di Via Politeama la fabula ruota attorno al Teatro Verdi ed in qualche maniera alla sua storia e alle sue vicissitudini. Gli autori ricollegano alcuni eventi, dalla sua costruzione nel 1884 all’incendio del 1923 e infine alla ricostruzione del 1926, e rievocano personaggi connessi con la piccola storia cittadina, quali Enrico Costa, l’erudito locale, il re Umberto I di Savoia assieme alla regina Margherita, venuti a Sassari ad inaugurare in Piazza d’Italia il monumento a Vittorio Emanuele II, Bruno Cipelli, l’architetto che ha ricostruito il Teatro Verdi dopo l’incendio e fra gli altri Arnaldo Satta Branca, figlio di Pietro, fondatore della Nuova Sardegna.Se gli autori si fossero arrestati qui, si sarebbero limitati ad esporre fatti, impressioni e atmosfere della fine del secolo, ma il loro intento era quello di scrivere un copione per il teatro e di farlo rappresentare. Hanno così concepito una compagnia scalcagnata, velleitaria e ambiziosa, composta in gran parte da guitti di provincia senza adeguata professionalità, e hanno accettato la sfida del metateatro che emargina la recita realistica. Sul piano scenico le cose si complicano perché la sovrapposizione dell’attore e del personaggio crea una duplicità che allontana dalla tecnica classica.L’avere puntato sul metateatro ha comportato l’adozione di una serie di vincoli tra cui l’espansione dello spazio agibile al di fuori del palcoscenico, l’inclusione del pubblico nella costruzione della fabula, la nuova definizione del ruolo di regista. Il capocomico si aggira per la platea, interferisce con i personaggi sul palcoscenico e dialoga con loro come se fossero tutti sullo stesso piano. È l’effetto del metateatro che, sfruttando l’ambiguità, elimina la quarta parete e fa del palcoscenico un luogo condiviso dagli attori e dagli spettatori.Prevale la tesi di indirizzo pirandelliano, quello dei Sei personaggi in cerca d’autore, che i commediografi adattano alla commedia sassarese con la sua carica di ilarità. La commistione ovatta in parte la cifra comica e le dà un sapore acidulo.La variazione coinvolge altre situazioni strutturali e tutte assieme mutano decisamente la natura della commedia popolare sassarese. Non poteva essere altrimenti perché l’intrusione dei moduli metateatrali si trascina dietro tutta una serie di alternative sostanziali. Innestate l’una nell’altra queste tecniche reclamano convenzioni del tutto nuove: trascinano con sé la nuova disciplina degli spazi e dei rapporti tra artisti e musica, tra artisti e struttura della fabula, l’allargamento della scena fino a comprendervi l’intera platea, i modi dell’informazione e le varianti della suspense. L’insieme di queste variazioni provoca un sovvertimento degli schemi e cambia il modo di essere della commedia in vernacolo, la quale senza sarebbe altra cosa: il capocomico, ad esempio, non sarebbe l’alter ego del regista; gli spettatori non potrebbero discutere con lui sul palcoscenico e viceversa; la nuova dimensione della platea sarebbe inspiegabile; Plauto non avrebbe eliminato la quarta parete né preso il modello del Miles gloriosus dall’ignoto autore ellenistico di Alazon, “ Lo sbruffone” né dopo di loro avrebbero aperto la via a Pirandello fra gli altri e a Bulgakov; i commediografi non avrebbero composto la trama davanti agli occhi degli spettatori e l’informazione del pubblico non sarebbe stata così esplicita; la suspense sarebbe rimasta inutilizzata fino alla fine e, come capita ancora, connessa con un antagonista; non sarebbe stata attribuita ad un attore, per giunta ad uno schiavo come Palestrione, la funzione del regista né questi avrebbe informato tutti, attori e pubblico, sui percorsi della trama e dell’imbroglio, lasciando disinformato solo il destinatario della suspense e del gabbo.Nuovo rispetto alla tradizionale commedia sassarese è l’ elemento musicale, costituito dal preludio e dagli intermezzi eseguiti da una orchestra di 55 strumentisti del Conservatorio, nel caso specifico, di Sassari. La musica dunque torna a intrecciarsi in qualche modo con la finzione scenica. Risultato finale è un copione nuovo nella sostanza rispetto al passato. Bisogna riconoscere che i due autori hanno dato una energica spallata ai paradigmi tradizionali e indicato la strada per la nuova commedia sassarese. Se sopravviverà a se stessa, la produzione del dramma comico sassarese respirerà aria di nuovo e di libertà.
La commedia di Cosimo Filigheddu e Mario Lubino “Quelli di via Politeama”, con la regia di Marco Spiga e la direzione d’orchestra di Andrea Raffanini, è stata rappresentata al teatro Verdi di Sassari dalla Compagnia Teatro Sassari e prodotta dalla stessa compagnia in coproduzione con la Cooperativa Teatro e/o Musica e il Conservatorio di Musica “Luigi Canepa”. Interpreti: Mario Lubino, Teresa Soro, Alessandra Spiga, Alfredo Ruscitto, Paolo Colorito, Elisabetta Ibba, Pasquale Poddighe, Michelangelo Ghisu, Claudio Dionisi. Disegno luci Grandi Luci di Tony Grandi. Costumi Katikamà. La foto in alto è di Michela Leo.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design