Doctor with stethoscope in the hands
Una delle categorie in prepotente ascesa che sfugge totalmente alla mia capacità di comprensione è il medico razzista. È un fenomeno che mi sgomenta e impaurisce, non solo perché associa un uomo di scienza ad un atteggiamento antiscientifico. Per me il medico è sempre stato l’eroe che dedica tutto se stesso alla salvezza della vita umana, in quanto tale, senza distinzioni. Il medico di famiglia, nel mio immaginario da bambino, aveva il volto di Flavio Sotgiu, un signore sassarese mancato pochi giorni fa: una carezza e una parola rassicurante per tutti, una visita a qualunque ora della notte lo si chiamasse, la ricetta scritta mentre congedava il paziente raccontandogli una barzelletta o un aneddoto in linea con le mode dei tempi. Sapere che per alcuni di loro ci sono esseri umani che valgono meno di altri è stata per me una scoperta inaccettabile. Un po’ come quando ti dicono che la favola nella quale avevi creduto da bambino era, in realtà, un’invenzione: certo che era un’invenzione, ma non erano invenzione i sani principi che voleva trasmettere.
Di medici razzisti ne incrocio sempre di più, su Facebook. E spesso usano toni aspri mutuati direttamente dal frasario leghista. Ne conosco uno che è solito ironizzare sugli immigrati definendole “risorse boldriniane”. Questo lessico chiarisce ogni dubbio. Un conto è avere delle riserve sulla gestione di queste migrazioni di massa, altra cosa è l’ironia pirandelliana sull’immigrato come “risorsa”. Risorsa, come a voler lasciar intendere che è l’esatto contrario, cioè che un immigrato nessun contributo potrà mai offrire alla società.
Un medico è un essere umano, con le sue simpatie e antipatie, le sue grandezze e le sue debolezze. Non si discute. Ma un medico razzista io non riesco a concepirlo, perché mi sembra in contraddizione insanabile con la sua missione, col giuramento prestato al momento di intraprendere la professione. Sono certo una stretta minoranza, ne conosco molti di più che si battono contro il razzismo, ma sono molto attivi sui social e la loro voce si sente distintamente. Io mi chiedo: sapranno vedere un essere umano come gli altri, nell’immigrato che un giorno dovesse aver bisogno delle loro cure?
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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