Ci sono canzoni che raccontano una vita. Perché chi vive nel mare da sempre, quello d’inverno se lo ricorda, eccome. Quel mare gonfio di maestrale e di sale, quella faccia solitaria e forte davanti ad un mare in bianco e nero. Ecco, le onde e gli spruzzi che si mischiano con i sorrisi e gli addii. D’inverno, davanti al mare, o ci si abbraccia o ci si lascia per sempre. Quella sabbia perennemente bagnata e quei capelli arruffati. Ci si innamora per forza tra le onde ed il sale. C’è sempre un movimento lievemente forzato quando camminiamo, d’inverno, tra il vento e il mare. E i baci, probabilmente, anzi sicuramente, sono più veri. E più forti.
Davanti al porto, tra le barche quasi addormentate, in quell’acqua che spruzza e macina nel vento mi sono sempre chiesto: ma a Belluno, per esempio, come funziona? Capisco l’estate che i bellunesi qualche spiaggia la frequentano, ma a Dicembre? Dove si baciano i bellunesi? Come fanno i bellunesi senza il mare d’inverno? Ho conosciuto una ragazza di Belluno una volta. Si chiamava Enrica e aveva le trecce. Era molto comunista e non portava i reggiseni. A quei tempi, almeno credo, era di moda non averli. Una questione di libertà dicevano le femministe. Secondo me era una moda a favore delle piccole taglie, almeno così ho sempre creduto. Enrica passava le vacanze ad Alghero perché aveva dei parenti, tra cui una cugina, Marinella, mia compagna di scuola. Enrica, da Bellunese, ci raccontava il mondo del nord: le lotte in fabbrica, gli operai, i consigli di classe, la lotta dura, cazzo, cioè, però. Su questa cosa diciamo che se la tirava. Non avevamo argomenti noi piccoli comunisti isolani in attesa di una rivoluzione che sarebbe arrivata in differita. A quei tempi, infatti, non c’era la continuità territoriale. Dopo una serie interminabile di racconti sulla rivoluzione, sull’impegno e su quanto fossero fighi al nord le chiesi: “Ma voi, d’inverno come fate?” Mi guardò come si guarda un Maori. Con circospezione. “Che significa?”, rispose. “Noi, per esempio, d’inverno, abbiamo il mare. Tu l’hai mai vissuto il mare d’inverno?” Non capiva. Non riusciva a comprendere quel mare che secondo lei era “poco moderno”, in quanto in bianco e nero. “D’inverno, da queste parti, abbiamo gli alberghi chiusi, i manifesti sbiaditi, il sale ci pasticcia la faccia, ma il bacio ci agita moltissimo. Passa il freddo, passano i silenzi e non c’è nessuno a farci compagnia.” “E allora?” chiese la bellunese dalle belle trecce, comunista per forza. “E allora, se non avete il mare non potrete mai avere un orizzonte nitido. Alla fine, la rivoluzione la vinceremo noi”. Non mi rispose. Non ho mai saputo che fine ha fatto. Continuo a godermi il mio mare d’inverno e mi tuffo perplesso in momenti vissuti di già.
Il mare d’inverno è una canzone cantata mirabilmente da Loredana Bertè, scritta da Enrico Ruggeri, uno di Milano.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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