Mi piacerebbe andare per le seconde case improvvisamente abitate nelle nostre coste e intervistare i proprietari, scoprendoli nella loro versione invernale, senza abbronzatura, e la notte con tre coperte perché un solo condizionatore in modalità inverno per tutta la casa non basta. A quello di loro che è qui per fuggire non chiederei se ha considerato che diffonde il virus dove non c’era, sarebbe inutile farlo; gli chiederei se, pure dal suo molto egoistico punto di vista, non consideri più pericoloso avere affrontato un viaggio per raggiungere la Sardegna che starsene ben chiuso nella sua prima casa aprendo la porta soltanto ai fattorini del supermercato, che senz’altro ha i soldi per pagare. Gli chiederei come ci si sente a pensare che il primo che bussa alla porta della casa delle vacanze può essere una guardia municipale che vuole sapere roba del tipo se è in regola con il permesso di soggiorno. Se gli fa pensare a qualcosa il primo sardo, magari un po’ coglione, lo ammetto, che gli urla dietro “Polentone infetto, tornatene a casa tua”. Se sente paura quando qualche comiziante dei poveri, intorno al quale misteriosamente si raduna però sempre più gente, dice “Prima i sardi”, che non vuole dire un cazzo ma convoglia utilmente l’odio contro gli untori continentali. Gli farei domande del genere per capire se questo popolo di camerieri (come magari lo ha spesso definito) in seno al quale si è rifugiato e che gli si rivolta contro, gli ha dato almeno una pallida idea di quali siano i meccanismi tremendi che inducono la gente a fuggire. E poi gli chiederei anche se è cosciente del fatto che con i suoi soldi ha contribuito soltanto a rendere più brutte le coste sarde ma che non ha portato un centesimo alla nostra economia. Questa però sarebbe soltanto una mia curiosità personale perché con il virus non c’entra niente,
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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