di Fiorenzo Caterini.
“Ma questo maialetto sa… sa proprio di maialetto!”. La ragazzina milanese mi guarda tra lo schifato e il chiedo venia, scostando il piatto del maialetto cotto in un agriturismo vero, certificato e garantito. Il maialetto sapeva troppo di maiale, e la ragazzina non riusciva a mangiarlo.
Per migliaia di anni gli essere umani hanno raffinato il gusto, un senso fondamentale per garantire la sopravvivenza, ossia per distinguere il cibo tossico, velenoso, da quello commestibile e utile alla bisogna.
Il senso del gusto è, dunque, legato ad un senso profondo, antropologico, di sicurezza.
Oggi ci ritroviamo di fronte al capolavoro dell’industria alimentare: essere riuscita a stravolgere i due milioni e mezzo di evoluzione sensoriale del gusto, identificando la sensazione di sicurezza e di garanzia non più con il codice di riconoscimento atavico degli alimenti (la carne è buona perché ha sapore di maiale) ma con il sapore neutro, quello del dolce e del salato standard, fornito dalle industrie.
Siamo arrivati al paradosso che un wurstel o un hamburger prodotti con scarti di macellazione e aromi artificiali, ci sono più familiari che la carne genuina.
Come è stato possibile cambiare in pochi decenni l’intera storia del gusto?
Con la televisione, potente strumento in mano al mercato delle multinazionali alimentari.
La televisione ci bombarda sin da quando siamo nella pancia con un abbinamento ossessivo: il prodotto industriale con quel gusto dolce e salato neutrale, con le immagini a noi più familiari e rassicuranti: visioni bucoliche, mulini, fattorie e fiorellini, la mamma amorevole con il bambino, la simpatica nonnetta, depositaria della tradizione gastronomica, la famigliola modello, riunita a colazione o a pranzo, animaletti e pupazzi innocui e simpatici.
Oggi uno mangia una dannosissima merendina industriale e, senza saperlo, richiama, nel suo inconscio, una stratificazione di sensazioni mnemoniche tranquillizzanti e rassicuranti abbinate a quel sapore.
Peccato che oggi, è stato calcolato, l’alimentazione industriale provoca 10.000 morti al giorno. Pensate, diecimila morti tutti i giorni, una strage inferiore solo a quella dovuta ai morti per fame e denutrizione, pari a 24.000 morti al giorno.
Ma mentre la prima cifra è in crescita, la seconda è in diminuzione.
Ed è un paradosso tipico del nostro mondo sapere che quei 24 mila morti potrebbero essere salvati con il cibo che viene sprecato in quella parte di mondo dove la gente muore per troppa nutrizione.
In un mondo moderno che semplifica ogni sentimento, riducendolo a valore quantitativo, anche il gusto finisce per essere vittima di una semplificazione. I prodotti industriali contengono sempre più ingredienti innaturali, sempre quelli, con un impoverimento non solo organolettico del gusto, ma anche della qualità nutritiva.
Non è un caso che l’Italia, dove tutto sommato si mangia ancora bene grazie alla Dieta Mediterranea, è il paese con l’aspettativa di vita superiore a tutti gli altri paesi della comunità europea. In Italia si campa più a lungo che in Olanda e Danimarca, e non certo per lo sanità, il lavoro o il reddito.
Se è vero che siamo quello che mangiamo, e il resto conta meno, è ormai provato che il mangiar bene garantisce una aspettativa di vita media più alta. Tanto che la Dieta Mediterranea è considerata Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.
Addirittura la Grecia, paese che vive il momento di crisi economica drammatica nota, ha una aspettativa di vita media pari a quella della Germania.
Pensate: nella Grecia disastrata campano più che in paesi ricchissimi come l’Austria e il Lussemburgo, e uguale che in Germania e nel Regno Unito.
Cito Grecia e Italia non certo a caso: sono i due paesi oggetto di un recente richiamo, da parte dell’Unione Europea, a causa del loro divieto di produrre formaggi con il latte in polvere.
Secondo la comunità europea, infatti, questo divieto è contrario alle leggi del libero mercato.
Ora è stato detto che, in fin dei conti, il formaggio di qualità resterebbe tale e, al limite, il latte in polvere verrebbe utilizzato per prodotti di bassa qualità che non intaccherebbero gli altri. Invece che comprare le sottilette tedesche, compreremo quelle italiane.
Ma io non sono molto sicuro di questa teoria, perché le leggi del mercato sono spietate e concorrenziali e finisce che il prodotto di qualità viene emarginato fino ad avere prezzi proibitivi: meno viene acquistato, più si ingenera una reazione a catena che solleva il costo, fino a perdere competitività nel mercato, e addirittura scomparire.
Ma soprattutto si proseguirebbe in una diseducazione alimentare approvata dalle istituzioni: la concorrenza tra cibi genuini e salutari e il mercato vedrebbe vincitore quest’ultimo. Il mercato prevarrebbe su tutto, anche sulla salute e sull’educazione alimentare. Una legittimazione molto pericolosa per la salute pubblica e per la qualità della vita.
La forza del mercato alimentare, dunque, non si può sottovalutare. Oggi è in grado, in molti paesi del mondo, non solo quelli poveri, ma anche ricchi come gli States, di demonizzare il latte materno per sostituirlo, ancora, con il latte in polvere.
Pensate che razza di lavaggio del cervello: l’alimento più sicuro e naturale del mondo, il latte materno, che viene considerato peggiore delle poltiglie industriali.
Recentemente ho proposto, in un convegno organizzato dal circolo dei sardi di Concorezzo, in Lombardia, l’idea di una legge che istituisse un registro delle ricette tipiche italiane, con la descrizione di quelle considerate “monumentali”.
L’idea sarebbe quella di valorizzare una tradizione culturale che rappresenti l’eccellenza italiana (e sarda) nel mondo. Perché oltre ai prodotti tipici esiste anche la loro giusta combinazione e preparazione, che rappresenta anch’essa una cultura antica frutto di una lunga e raffinata esperienza, da tutelare e valorizzare.
Dobbiamo, insomma, provare ad andare nella direzione esattamente ostinata e contraria a questa iniziativa della Comunità Europea, anche se mi rendo conto che in periodo di TTIP e di Expò dove invece che pensare a nutrire il pianeta viene preso d’assalto il fast food, non è facile.
Ma è l’unico modo per far sì che i nostri figli, un giorno, possano apprezzare ancora un maialetto perché ha sapore di maialetto, un cioccolato che ha il gusto del cacao, il vino che è fatto con l’uva e l’olio fatto con le olive, e un formaggio che ha sapore di formaggio perché fatto con il latte fresco.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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