Per me Franco Battiato è Napoli. Nel 1981, quando nella città partenopea ci passai tre mesi intensi della mia tarda adolescenza, la colonna sonora era rappresentata dal centro di gravità permanente e dal cuccurucuccù Paloma gridato a squarciagola a bordo di una vespa 50 con mio cugino tra via Caracciolo e la loggetta, davanti all’allora stadio San Paolo. Mergellina, Camaldoli, Spaccanapoli, Via Petrarca, Posillipo. Tutto era Franco Battiato. Quasi un’ossessione. Ho amato molto quel disco giudicato tra i migliori prodotti degli anni ottanta, secondo soltanto a Creuza de mà di Fabrizio De André. Il maestro è diventato un modo di partecipare alla vita quotidiana. Ricordo – portavo ancora le lenti a contatto – quando acquistai un paio di Persol solo ed esclusivamente per avere più carisma e sintomatico mistero. Franco Battiato è stato un cantautore diverso da tutti e assolutamente geniale. Lo scoprii nel 1979 con l’album L’era del cinghiale bianco e ne rimasi affascinato. Ero tra i pochi a far passare in radio “strade dell’est” che ritengo, ancora oggi, un pezzo davvero sublime. Poi il maestro divenne nazional popolare e con l’album “la voce del padrone” entrò di prepotenza tra le hit di quegli anni. Non voglio – e non posso – tracciare un percorso musicale e artistico di Battiato. Lo faranno in tanti e tutti più bravi di me. Voglio solo ringraziarlo per aver tracciato la mia vita di canzoni che hanno rappresentato molti momenti – anche intimi – e indissolubili di quello che si chiama “passeggiata sulla terra”. Grazie maestro per aver scritto e musicato “ e ti vengo a cercare” perché ho bisogno della tua presenza per capire meglio la mia essenza. Grazie per aver voluto danzare come le zingare del deserto al suono di cavigliere del Katakali; per essere riuscito a farci sognare i villaggi di frontiera dove passano i treni di Tozeur e per essersi chiesto chi sono, dove sono, quando sono assente di me? Da dove vengo, dove vado? Grazie per quello piccolo capolavoro che è rappresentato dalla canzone “gli uccelli” : quei voli imprevedibili e ascese velocissime, traiettorie impercettibili, codici di geometria esistenziale.Battiato era Napoli nei miei ricordi ma era Sicilia, Grecia, Alessandria d’Egitto, Tozeur, San Pietroburgo, Vladivostok, Africa e Asia, Europa ed Oceania. Battiato era il mondo. Battiato era il mare che ci portava lontano a naufragare, lontano da queste sponde, lontano sulle onde. Arrivederci maestro. Non porto più gli occhiali scuri però continuo a non amare i cori russi, la musica finto rock, la new wave italiana, il free jazz punk inglese e quella nero africana. Troveremo, prima o poi, insieme ai vari bonzi dell’universo un centro di gravità permanente. Ne abbiamo bisogno, almeno di questi tempi.Ed è bellissimo perdersi in questo incantesimo.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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