Neppure la guerra aveva fermato il Lunissanti, la giornata che apre la settimana santa a Castelsardo. Neppure i boati e l’odio, il grande conflitto mondiale aveva bloccato la processione dei misteri, i canti nella città – oggi centro storico – che risuonavano limpidi e puri, forti e incontrastati, preghiere che raccoglievano tutta la forza nel silenzio e nella grande suggestione scenica che questa processione regala. Chi è stato a Castelsardo è rimasto sicuramente affascinato da una giornata che nasce fin dall’alba, con la celebrazione della prima messa, con i confratelli che frettolosamente, con i loro camici bianchi, entrano alla spicciolata nella piccola chiesa di Santa Maria dove, sull’altare, sono presenti i misteri della Passione che serviranno a scivolare nelle piccole strade di uno dei borghi più belli d’Italia. Quei misteri che accompagnano l’uomo da oltre duemila anni sono l’archetipo della fede, della speranza, del voler credere ad un uomo solitario e forte che ha parlato in nome di un Dio e, in nome suo, si è immolato su una croce. Misteri che si raccolgono negli anfratti della nostra anima e che non hanno spiegazioni. La fede non si spiega, non serve, non avrebbe senso. La fede si vive e non si racconta, non se ne fa vanto. La fede è nella cassaforte dell’anima. Lunissanti è la fede di una città, la trasposizione sacra di una storia che seppure la si conosce a memoria ogni anno è diversa. Come i cori dei confratelli diversi ed uguali nella loro replica annuale, diversi e uguali nel loro camminare tra i vicoli bui quando il sole ha appena carezzato l’Asinara e ha deciso di regalare una notte di voci che si innalzeranno a quelle stelle lontane, a quell’universo infinito, a quello strano tepore assoluto che la fede riesce a regalarti. Lunissanti è la strada tortuosa e silente di uomini soli che camminano in un buio lontano alla ricerca di pace e giustizia. Lunissanti è la voce di pochi verso un Dio che vuole abbracciare le moltitudini e che, attraverso quei canti di tre cori, attraverso quelle dolcissime e quasi incomprensibili preghiere lo Jesus, lo Stabbat Mater e il Miserere, si vuole, in qualche modo, raccontare a quel Cristo che gli siamo vicini. Lunissanti è la festa gioiosa dopo la messa officiata dal vescovo nella bellissima chiesa campestre di Tergu, è l’incontro tra famiglie, il pranzo sui prati con i carciofi, le polpette, i dolci, la carne, il pesce, il rumore giocoso dei bambini, il preludio pagano a quello che, la sera diverrà sacralità. Lunissanti è la notte che arriva nel centro storico di Castelsardo, le fioche luminarie che si accendono nelle strette vie. Pare di ritornare al medio evo, al buio pesto di giorni andati. Si sentono, tra le piccole strade, solo i cori che raccolgono i sospiri e la voglia di esserci da parte dei castellanesi e dei molti turisti (alcuni dicono troppi) che si accalcano a dipingere il nero della passione. Lunissanti è la cena degli apostoli con le loro sette pietanze, la cena degli ospiti del Priore, la miscellanea di voci e racconti, di quel che eravamo, di quel che è stato, di chi ha cantato meglio e di come si sarebbe potuto intonare quello Stabbat, di come potevamo riflettere di più sulle parole del Miserere, su come il vino di un confratello è il migliore. Così come il formaggio e i carciofi. Non ci fu la guerra a fermare il Lunissanti che, seppure in assoluta ristrettezza, era stato organizzato. Solo un pezzo di pane e formaggio, un bicchiere di vino e i canti che rimbalzavano tra i vicoli e il cielo. Domani, per la prima volta, dopo centinaia di anni, il rito cesserà. Non ci saranno i confratelli che raggiungeranno mezzo assonnati Santa Maria alle luci dell’alba, non ci saranno i fedeli che vorranno comprendere a chi sono destinati i misteri che cammineranno nella lunghissima e scarna processione, non ci sarà nessuna festa a Tergu, nessuna battaglia per capire chi ha portato il vino migliore, non ci sarà la notte e i lucignoli che avvolgono questo immenso momento di passione e di fede. Non ci sarà il Lunissanti. Per la prima volta. Fa capire la gravità del momento, la sontuosità del gesto, questa piccola ferita che ha squarciato i cuori dei castellanesi e di chi questo rito lo ama da sempre. Nessuna processione, nessun coro reale. La confraternita si è organizzata e proverà a trasmettere almeno tre canti. Lo farà nella speranza che tutti provino, chiudendo gli occhi, a sentirsi vicino a quei cori, a quel Cristo deriso ed ucciso, che tutti provino, almeno per un attimo a raccogliere l’immensa speranza dell’universo, la voglia di finire questi lunghi momenti e, attraverso quei gesti, quei misteri, quegli inni a Gesù, a sua madre, attraverso la misericordia ci si possa guardare dentro ed andare oltre. Al prossimo lunissanti dove, fin da adesso, tutti si son seduti sulla soglia di Santa Maria ad attenderlo. Ed io con loro.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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