Una settimana dopo le sue vacanze cinque stelle a Poltu Cuatu, un passo fuori dalla Costa Smeralda, oggi Luigi Di Maio ha scritto un post su Facebook per spiegarci che i migranti in viaggio verso l’Europa sono degli illusi, poiché sono una piccolissima parte della popolazione europea sta davvero bene. Che se ne restino a casa loro, in Africa. Tutto sommato, si sa quello che si lascia ma non quello che si trova, come certamente hanno pensato i 218 mila italiani partiti all’estero nel 2018 e i trenta milioni di italiani espatriati nel ventesimo secolo. Discorsi da bar, se non fosse che a sostenere questo punto di vista è un ministro della Repubblica. Ma se questo post di Di Maio mi ha infastidito – anche per il maldestro e inappropriato tentativo di spalleggiare Salvini nella questione Sea watch – un altro post odierno del vicepremier mi ha provocato disgusto: quello sul sindaco di Bibbiano, città emiliana di diecimila abitanti, sotto indagine assieme a decine di altre persone per l’agghiacciante (ma presunta) vicenda dell’affidamento pilotato dei minori. Il post è costruito attorno ad una foto del sindaco con didascalia contenente nome e partito di appartenenza, il Pd. Di Maio, in poche ore, ha stabilito chi siano i responsabili ed è giunto alle conclusioni: è colpa del sistema “Emilia” del Partito democratico. Né Di Maio né nessun altro può sapere se questo sindaco sia colpevole o se invece uscirà scagionato dalla vicenda. Non sempre le accuse della Procura si traducono in condanne: questo un uomo delle Istituzioni, col dovere del rispetto dei ruoli, dovrebbe saperlo e, proprio per questo, scegliere toni misurati. Invece quel post ha il tono di una sentenza di Cassazione. Nessun condizionale, nessun beneficio del dubbio, nessuna misura e l’auspicio della “vendetta”, proprio questa l’espressione usata da Di Maio, l’odio indirizzato contro un colpevole certo, anche se il processo vero non è neppure iniziato.
In un momento di palese difficoltà del governo, Di Maio gioca la solita carta: indicare alla sua folla un nemico da colpire, spostando l’attenzione. Non sul singolo sindaco, innocente sino a prova contraria, ma su tutto un partito avversario. Naturalmente, ci sarà chi dirà che io tifo per il Pd e che sto anteponendo la questione politica alla cronaca giudiziaria. Bene, torniamo indietro di due giorni Durissimo contro il sindaco di Bibbiano, Di Maio non ha scritto invece una riga sul presidente del Consiglio comunale di Piacenza, arrestato per presunte collusioni mafiose. Non è difficile comprendere le ragioni di questa indignazione a corrente alternata. Ma, al di là di questa interpretazione, io penso che Di Maio abbia fatto bene ad astenersi dall’intervenire sui fatti di Piacenza, come sempre si converrebbe ad un uomo dello Stato. Deve valere sempre, qualunque sia il partito coinvolto, la presunzione d’innocenza. Capisco perfettamente che invocare prudenza per un caso così delicato, nel quale sono coinvolti dei minori, sia decisamente impopolare. Non so se qualcuno di voi abbia mai vissuto l’esperienza di essere indagato o imputato in un processo pur sapendosi innocente. Il primo nome che mi viene in mente, in questi casi, è quello di Enzo Tortora. Ecco, passare per colpevoli per sentenza della piazza, sulla base di quanto riportato dalla stampa, è una barbarie che uno Stato civile non si può permettere. Peggio se a fomentare questo clima sono proprio uomini di quello stesso Stato.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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