(la prima parte è stata pubblicata ieri)
E stare nel marco, si scoprì ben presto, era più difficile persino che stare nell’euro. L’età pensionabile venne portata a 101 anni, 98 per minatori, vigili del fuoco e altre categorie il cui lavoro veniva giudicato usurante da una commissione che aveva sede a Bonn. La spending review divenne tanto cogente che nel volgere di pochi anni i sindaci dei comuni superiori ai 50.000 abitanti vennero sostituiti da ragionieri nominati a Berlino, mentre in quelli più piccoli la carica veniva esercitata dal parroco. Per contenersi nei parametri dell’euromarco, si riscoprì la teoria della decrescita di Latouche, un economista di moda nei primi decenni del Duemila. Solo che quello parlava di una riduzione dei consumi utile a riequilibrare la ricchezza tra i popoli e i rapporti tra uomo e ambiente. La neo decrescita predicava invece una riduzione totale della ricchezza in tutti i Paesi che non fossero la Germania e – per ciascun Paese – di tutti i segmenti socio-economici al disotto dei membri dei consigli di amministrazione di banche e aziende quotate in borsa. Insomma, alla fine non si stava male. Perché nel volgere di poche generazioni ci si dimenticò dei tempi in cui tutti avevano la macchina, o di quando era normale la sera andare in pizzeria (erano locali dove si servivano a scopo alimentare e ludico impasti di vera farina cotti insieme a un derivato del latte e al succo di un ortaggio rosso) e la notte tenere la luce accesa quanto si voleva. La saggia orchestrazione mediatica gestita dall’apposito ministero europeo con sede a Colonia, fece apprezzare i cambiamenti a vasti strati della popolazione. Il nome della succursale italiana era Minculpop, Ministero della Cultura Popolare: qualcuno l’aveva copiato da un manuale di storia antica. Una delle sue più riuscite campagne riguardava proprio la bellezza delle notti buie, illuminate solo dalle stelle e dalle rare luci che trasparivano dalle finestre dei ricchi. Si riscoprì la poesia dei lumicini delle favole, premio promesso ai migliori, i pollicini che percorrevano impavidi il bosco tenebroso guidati da un lumino lontano. Tutto funzionò alla perfezione sino a quando su un grande muro diroccato nel centro storico di Sassari, tra la vecchia chiesa di San Signor Francolino Bonu e la sede dell’antico gremio dei Disoccupati, comparve una gigantesca scritta a biacca: “Il lumicino mettetevelo sotto il culo”. Sulle prime si pensò all’opera insensata di un wall writer e si discusse soltanto dello spreco criminale di biacca. Ma quando qualche notte dopo una mano ignota aggiunse a caratteri più piccoli “Marco uguale pezze al culo” (il tema era ricorrente negli slogan degli anti marco), le scritte vennero subito cancellate, il muro abbattuto e la Digos locale venne affiancata nelle indagini da una squadra di agenti della Nuova Gestapo, la polizia politica europea con sede a Dresda. Questi agenti erano dei fini investigatori che scoprirono subito come all’origine del malumore fosse una partita di pallacanestro. Da molto tempo la massima competizione europea di questo sport aveva preso il nome di Basketball-Bundesliga, cioè quello che prima dell’euromarco era il campionato solo tedesco. Era tradizione che le squadre delle altre nazioni venissero eliminate subito e che la vera competizione si giocasse tra le varie Alba Berlin e Ulm. Ma quell’anno la secolare squadra sassarese della Dinamo (la sua fondazione risaliva alla fine del Novecento) arrivò alla finale. Più che altro era stata sottovalutata dai commissari europei della Bundesliga, che volevano anzi usarla come simpatica mascotte, simbolo di una innocua periferia che fa divertire senza rompere i coglioni mettendosi in mezzo ai discorsi dei grandi. Ma al momento di tirarsi indietro per fare giocare le vere squadre, la Dinamo infilò una serie impressionante di canestri, aggravati dal fatto che buona parte di essi erano realizzati da veri e propri negri (il termine era stato riammesso nell’uso comune italiano con un decreto reale), e non da quei meticci bianco sporco che a malapena venivano ammessi nelle competizioni dopo l’emanazione delle norme europee sull’Etica Razziale nello Sport. E così, alla vigilia della finalissima tra Dinamo e Bayern Monaco, i dirigenti della squadra sassarese ricevettero l’ordine di ritirarsi con un pretesto per garantire ai tedeschi la vittoria a tavolino. Rifiutarono, ma la sera della finale a Berlino i sassaresi non si presentarono. Atleti e dirigenti erano scomparsi. Il Minculpop emanò a tutte le testate una velina in cui si spiegava che i sassaresi erano fuggiti per paura e che quindi la coppa assegnata alla Bayern dai giudici sportivi era meritatissima. Ma a Sassari, come scoprirono i poliziotti di Dresda, nessuno se l’era bevuta e le mogli degli atleti e dei dirigenti organizzarono in piazza d’Italia la “Fiaccolata degli scomparsi”. Quell’ultima goccia fu fatale al marco. Non era servito a colmare la misura l’inasprimento delle pene per i consumatori di zimino, Sassari aveva tollerato anche il divieto dell’uso di vini locali nei circoli ricreativi (con ripetute multe alla Lucciola e al Raggio d’Oro), persino l’obbligo di cambiare il nome della Fontana di San Francesco in quello di Franz Von Assisi Brunnen venne mandato giù. Ci volle la faccenda della Dinamo perché la città si ribellasse. Le scritte si moltiplicarono, gli esattori delle banche tedesche che tentavano di esigere le rate dei mutui dovettero affrontare sgradevoli situazioni. La più comune era che il capofamiglia, indicandosi il basso ventre con movimento ritmico di entrambe la mani poste a taglio, dicesse loro: “Millamì, la rata del mutuo”. Insomma, il consenso franò e agli occhi di tutti, come quando quel bambino danese svelò che l’imperatore era senza vestiti, apparve che il marco era una “fottitura”. Le autorità europee imposero all’Italia di non reprimere la ribellione nel sangue e si preferì accettare un’enclave monetaria da additare a esempio quando tutti fossero morti di fame. Ma Sassari coniò l’attuale moneta, il rosello, avviando commerci con Porto Torres, Sorso e persino Sennori (in città non venivano più applicate le leggi razziali europee) e raggiungendo una egemonia dovuta soprattutto alla coltivazione intensiva di cavoli e altri ortaggi nella fertile vallata solcata da ponti e terrapieni che divide la città, per secoli sepolta da profondi strati di cemento. Quelli della Dinamo non vennero più ritrovati. C’è chi racconta di avere visto alcuni di loro a Nuova Dachau, il modernissimo campo di lavoro e riabilitazione ricostruito in Baviera, a venti chilometri da Monaco. Ma questa è un’altra storia.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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