Faceva caldo quel giorno in cui Sassari uscì dal marco. Erano vuote le piazze, ma anche le spiagge faticavano a prendere l’aria festosa di quelle estati antiche, quando con poche lire e poi con qualche euro compravi un biglietto della corriera o un po’ di benzina e andavi a Platamona. Proprio così: un po’ di benzina che infilavi giù per il tubo della tua macchina: tua personale. Perché non c’era chi non ce l’avesse, la macchina. Non dico balle. In alcune famiglie ce n’era anche una a testa. E non è che parli della famiglia di Rockefeller. Dico famiglie normali. Bastava che moglie e marito avessero un posto fisso ed ecco che ciascuno si prendeva l’automobile. E magari ne scappava anche un’altra per i figli.
Bei tempi, quelli.
Ciò che avvenne dopo io ero ancora piccolo ma lo ricordo ancora; e voi lo potete leggere nei libri di storia. La Germania cominciò a dire che questa dell’euro era una stanca convenzione perché tanto tutti i parametri valore si erano adeguati all’economia tedesca e il cancelliere Adolf III pronunciò la famosa dichiarazione che ora si studia anche alle elementari: “Non siamo insensibili al grido di dolore che si leva da ogni parte del Quarto Reich. La nostra moneta, la moneta europea, da oggi riprenderà il nome del glorioso marco, simbolo economico delle più alte vette mai raggiunte dall’umanità nel campo dell’intelletto e della prestanza fisica”. La Francia si mise a pancia in su e offrì la gola in segno di sottomissione.
Il re d’Inghilterra dichiarò che “questi tedeschi rompono sempre i coglioni ma purché non li rompano a noi sono cazzi che non ci riguardano”. Era il primo sovrano espresso dalla seconda rivoluzione cromwelliana e proveniva dal quartiere londinese di Harlesden, dove lavorava in un pub come buttafuori incaricato di prendere a calci gli avventori afro-caraibici non appena cominciavano a cantare all’interno del locale. Anche nel suo nuovo incarico conservò quindi il colorito linguaggio dei rioni malfamati.
Mentre l’Italia inviò in Germania in visita ufficiale per tributo di gratitudine il re Umberto XII. La dinastia, come è noto, era tornata al Quirinale in seguito al referendum popolare degli anni Venti del Duemila. Il grande leader del partito padano aveva già trionfato in numerose consultazioni popolari. In quella sulla privazione dei diritti civili per tutti i cittadini che non fossero italiani da otto generazioni aveva ottenuto il novanta per cento. Cento per cento in quello sulla penalizzazione della violenza carnale subita, che aveva restituito valore giuridico a un principio ormai universalmente riaffermato: se una donna o anche un uomo – senza alcuna distinzione sessista – suscitano il desiderio violento di un uomo vuol dire che “se la sono cercata” (il codice recita proprio così) e commettono quindi un reato. Tutti gli ingiusti procedimenti per stupro erano stati quindi annullati e le ex parti lese avevano ricevuto i conseguenti avvisi di garanzia. Nei casi più conclamati di provocazione, erano state sottoposte a custodia cautelare. Nessun problema con stupri commessi da extracomunitari perché come è noto in Italia quei pochi rimasti avevano accettato l’evirazione in cambio del permesso di soggiorno. Sull’onda di questi successi il leader aveva scovato un discendente della dinastia che lavorava come esattore di crediti in un cambio oro della Brianza e gli aveva proposto di presentarsi come aspirante al trono in un referendum sul ritorno della monarchia. Monarchia costituzionale, naturalmente. Perché nello stesso quesito referendario con il SI’ veniva anche accolta la riforma costituzionale che riuniva nel presidente del consiglio i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, specificando che questa carica poteva essere ricoperta soltanto da iscritti al grande partito padano. I SI’ erano stati il 99 per cento e siccome il voto era palese (la scheda andava firmata e dovevi scrivere il numero della carta d’identità) si era saputo che i pochi NO erano di certi oltranzisti del partito padano che volevano sul trono il leader in persona e “non una marionetta”, come qualcuno aveva scritto sulla scheda per annullarla con una frase di protesta.
Insomma, grosso modo era questa, come sapete, la situazione politico-istituzionale quel giorno in cui Sassari uscì dal marco.
(fine prima puntata)
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