A me capita di entusiasmarmi per come un giornalista interpreta la sua cronaca. Per la passione e la spontaneità che ci mette, a costo di qualche inceppo o indecisione, anche per il suo essere umanamente coinvolto in quel che racconta. Da settimane Pio D’Emilia segue il cammino dei profughi siriani verso l’Europa, sta con loro e li intervista. E mi sono abituato a identificare la sua bella barba bianca, la parlata farraginosa, con questo esodo. Nei giorni scorsi Pio D’Emilia era felice, nel riferire che ai migranti sarebbero stati messi a disposizione degli autobus. Era commosso, nel mostrare il cibo, i vestiti e tutti i generi di conforto preparati per i pellegrini dalla gente di Nickelsdorf, un Comune di 1500 abitanti ai confini con l’Ungheria. Pio D’Emilia non aveva voglia di nascondere il suo sorriso, perché in questi giorni è diventato uno di loro. E io trovo che quel sorriso fosse un elemento essenziale della sua cronaca giornalistica.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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