Scrivo subito dopo aver sentito Di Battista augurare la morte ad una formazione politica avversaria, messaggio incorporato in una comunicazione istituzionale del vicepremier Di Maio: come se un ministro, mentre rilascia dichiarazioni ufficiali ad una televisione, cedesse il suo microfono all’amico passato di là per caso, consentendogli di sproloquiare come crede.
Di Battista, ricordiamolo, non ha alcun incarico politico e nessuno lo ha eletto ad alcuna carica: è solo un amico del vicepremier.
In quello stesso messaggio, il vicepremier Di Maio metteva sullo stesso piano il dramma umanitario dei profughi della Sea Watch e la presunta furbata di un sindacalista siciliano, militante del Pd, che avrebbe consigliato agli utenti del suo ufficio come ottenere il reddito di cittadinanza anche senza averne diritto.
Un processo sommario, celebrato non tanto per la furbata in sé quanto per il fatto che a compierla sia stato un militante del nemico da sopprimere: il Pd.
È il consigliere comunale di uno sperduto paese siciliano, ma essendo del Pd dimostra quanto quel partito sia marcio e debba morire, come augurato da Di Battista.
È una propaganda elettorale continua, che si alimenta d’odio, di nemici, di rabbia da sfogare contro un bersaglio.
Vince chi più riesce a totalizzare seguaci in questa caccia.
I Cinquestelle, in questo senso, hanno totalmente assorbito e metabolizzato la lezione di Salvini: vivevano già prima di rabbia esplosiva, ma la vicinanza con l’alleato di governo li ha costretti a correggere la mira, ad orientare in altra direzione il loro furore. Di Battista un paio d’anni fa interveniva in Parlamento per rappresentare il dramma dei migranti abbandonati a loro stessi, oggi quel dramma ispira il sarcasmo di Di Maio.
Non ci si può abituare a questo clima. Ma credo che potrà finire solo quando avrà divorato tutto quanto possibile, come un fuoco che divampi alto ma alla fine non trovi più nulla da bruciare.
Io credo che l’elemento politico di maggiore significato, in questi giorni, siano le sfide lanciate alla loro stessa area politica da Stefania Prestigiacomo e Mara Carfagna.
Portavano in loro il peccato originale di essere nominate da Berlusconi, di essere parte di un movimento addentellato saldamente con la xenofobia leghista.
Ma quella loro presa di posizione sui migranti della Sea watch, impopolare tra le gente della nuova destra, è un sussulto di civiltà che deve essere sottolineato.
Solo da questa umanità potremo ripartire.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design