E’ mezzogiorno, il sole si fa sentire. G mi accoglie in pantaloncini, a torso nudo. La sua casa si affaccia sulla striscia d’asfalto che si snoda parallela a un fiumiciattolo, quello che costeggia lo stadio. Non ci vado più da anni, allo stadio. Ma ricordo le corse del factotum dell’Olbia calcio, rosso in viso, retino alla mano, per recuperare dall’acqua i palloni calciati alla “viva il parroco” durante la partita, prima che lo facessero i ragazzini in attesa sulle sponde. Prendi il pallone di cuoio e scappa. Era uno sport pure quello per chi prendeva a pedate una assai meno nobile palla di gomma sperando non ci fosse troppo vento al campetto.
Il rio scorre, placido. A vederlo oggi, non ha proprio l’aria del killer. Eppure, il 18 novembre del 2013, esondò con violenza, vomitando quantità impressionanti di acqua e fango, spezzando vite e travolgendone altre. Chi ha avuto la sventura di trovarselo in casa, quella sera, continua a guardarlo con diffidenza e, quando piove, con una certa preoccupazione.
“Vedi questi mobili? Sono tutti nuovi. Avevo un metro un mezzo d’acqua in casa, ho dovuto buttare via tutto”. G mi fa accomodare. Dalla cucina arriva il profumo delle melanzane alla parmigiana che riposano sul bancone. Con una moglie invalida da accudire, le faccende di casa sono il lavoro quotidiano del pensionato G. Lava, stira, pulisce, cucina. Oggi melanzane, appunto. Da una camera spunta P, da poco uscita dall’ennesimo soggiorno in ospedale. Ha le braccia fuori uso. “Lei, quella sera, si è salvata grazie all’intervento di mio nipote che l’ha praticamente portata via di peso facendola passare da una finestra. Siamo rimasti da lui, per un po’ di tempo, in attesa che qualcuno ci aiutasse a rimettere piede in casa. Quando finalmente sono rientrato, mi sono guardato intorno. Non c’era niente da salvare. Così mi sono detto: inutile aspettare, prendiamo il coraggio a due mani, sacrifico parte della pensione per le rate e ricompro i mobili in blocco”.
Io e G ci conosciamo da una vita. E’ sempre stato uno dal carattere sanguigno, anche se l’età e le vicissitudini ne hanno eroso lo smalto di un tempo. “Perché ti ho cercato? Perché vorrei che la gente sapesse quale trattamento di riguardo mi sia stato concesso dopo quella tragedia”. G tira fuori un paio di cartelle zeppe di scartoffie. “Sono solleciti, richiami per tasse che ho già pagato. Ma come faccio a dimostrarlo? Queste – dice esibendo un mazzetto di bollettini color fango – sono le uniche ricevute che sono riuscito a salvare. Il resto se l’è portato via l’acqua. Mi chiedono conto di vecchie cartelle, roba che risale a parecchi anni fa. Come faccio a dimostrare che le ho pagate se le ricevute sono andate distrutte insieme a tutto il resto?”.
A un anno e mezzo di distanza, l’alluvione continua a far sentire i suoi effetti. Spazzata via l’acqua, rimosso il fango, restano le cicatrici. “Quanto mi hanno dato? 800 euro. Per l’auto, distrutta pure lei, sto ancora aspettando. Nella graduatoria della Croce Rossa non ci sono, ho chiamato al telefono uno dei loro addetti per chiedere spiegazioni. Mi hanno risposto che avevo già ottenuto 800 euro e dunque non avevo diritto ad altro. Però, nei giorni successivi all’alluvione, ho visto caricare mobilia nuova di zecca, destinata alle vittime, al primo piano di una casa, dove l’acqua non era certo arrivata. Mi sono fermato, ho trovato il tizio che stava consegnado tutto e gli ho detto di vergognarsi. Noi dormivamo sulle reti, non avevamo neanche un letto”.
G è mio zio. Quando lui e tante altre persone a me vicine furono direttamente colpite da quella tragedia, non ebbi la possibilità di aiutarli. In quei giorni, come i miei colleghi, ero impegnato a raccontare alla gente ciò che stava succedendo a Olbia e nel circondario. Il mio ruolo, all’epoca, era quello. Ma è rimasto in me un senso di colpa per l’aiuto concreto che le mie mani non hanno potuto fornire a chi ne avrebbe avuto necessità. Anche oggi, purtroppo, non posso fare molto per lui, se non riportare il suo sfogo su questa pagina. Per il resto, un avvocato ha già provveduto a diffidare il Comune. “No, non riesco proprio a digerire questa persecuzione, dopo tutti i sacrifici e gli sforzi fatti per rialzarmi, praticamente da solo”.
Il sole batte forte, fuori. Il fiume è sempre là, oltre la strada, oltre lo sterrato. Distante a sufficienza per nascondersi alla vista, non abbastanza per cacciare via gli incubi.
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