I black-bloc fanno una delle loro prime e più significative apparizioni mediatiche mondiali (altre ce n’erano state prima) a Seattle in occasione di accordi internazionali dell’appena nato WTO. Da allora, più o meno, appaiono ovunque nel mondo – con le ormai note caratteristiche di devastazione – ogni volta che c’è qualcosa che riguardi in qualche maniera i temi della Globalizzazione.
Mi pare si possa dire, a distanza di parecchi anni, che questo tipo di manifestazioni violente provocano due effetti presso l’opinione pubblica (intesa come social network e stampa). Uno, a breve, brevissimo, termine è la repulsione. Tutti si sentono minacciati e tutti invocano la pena di morte e lo squartamento pubblico per i facinorosi devastatori.
L’altro effetto, a medio termine, è il sollevare attenzione verso le questioni cui si oppongono questi movimenti. Nel senso che molte persone, normalmente e per varie ragioni, disinteressate alle tematiche che coinvolgono i Black-Bloc, per forza di cose sono costretti ad interessarsene e cercano di capirne di più.
Credo sia indubbio che molti tra quelli che mi leggono in questo momento abbiano saputo della Tav in Val di Susa, o abbiano scoperto l’esistenza del Wto (e dei suoi misfatti), a partire dalle eclatanti manifestazioni (violente o quasi) poste in essere da questi gruppi.
In effetti le “normali” manifestazioni di piazza, di protesta, di contrarietà, di opposizione a politiche governative (nazionali e sovranazionali) di una certa importanza, se non raccolgono almeno uno o due milioni di manifestanti, rimangono “oscurate” mediaticamente e seppellite sotto la caterva di un’altra miridiade di informazioni di tutti i generi che ci piovono quotidianamente addosso.
L’effetto mediatico di una macchina che brucia invece è immediato e cattura l’attenzione. E una volta catturato l’interesse di una parte significativa dell’opinione pubblica questa si divide in tre parti. Quelli che, senza se e senza ma, continuano a denunciare come impropri i metodi dei Black-Bloc. Quelli che, in qualche modo, pur rifiutandone i metodi, sono alla ricerca delle ragioni dell’agire di questi gruppi (spesso condividendone le ragioni di fondo) e quelli che li appoggiano ritenendo che siano l’avanguardia di una sollevazione popolare che non tarderà ad arrivare. Questi ultimi sono una minoranza sparuta ad occhio e croce.
Sommariamente si potrebbe dire che la maggior parte dell’opinione pubblica considera le manifestazioni violente dei Black-Bloc, negative. Quelli che non li sopportano le considerano negative perché disturbano il quieto vivere, l’ordine “naturale” delle cose. Quelli che cercano di capirli, le reputano negative poiché non sortiscono alcun effetto politico ma solo uno di ordine pubblico.
In effetti questi ultimi hanno, alla prova dei fatti, ragione. Le riunioni di organizzazioni internazionali tenutesi a Seattle, Praga, Napoli, Genova, ecc. ecc. – cioè i luoghi dove nello scorso decennio si sono decise le sorti del mondo – hanno sempre conseguito gli obiettivi prefissati e nessuna manifestazione di piazza è riuscita, mai, a cambiare il corso delle decisioni che sono state prese in quelle città. Cioè l’effetto politico delle manifestazioni violente dei Black-Bloc è stato nullo. Però si deve ammettere che, d’altra parte, l’effetto politico che hanno avuto le manifestazioni pacifiche è stato lo stesso. Cioè zero.
Ma non sono state queste manifestazioni violente, come sostengono alcuni, un “endorsement” alle forze governative, non hanno appannato le ragioni di chi protesta “pacificamente”. Non è stato così perché le ragioni dei manifestanti pacifici, grazie proprio al clamore mediatico suscitato da chi incendia macchine e scassa vetrine, si sono fatte conoscere meglio. Sono riuscite a penetrare il muro di gomma del silenzio mediatico che li circonda e si sono conquistate, spesso, il sostegno di partiti, di intellettuali, di cittadini comuni che in qualche modo sono stati sensibilizzati.
Vale la pena ricordare che prima della grande sistematizzazione intellettuale e politica operata da Marx a metà dell’800 e che diede vita al movimento operaio internazionalista, il luddismo, il ribellismo, i moti di piazza, le rivolte spontanee erano frequentissimi in tutta Europa e testimoniavano di un malessere sociale diffuso e incancrenito. Ci sono voluti decenni prima che questi moti scoordinati, che non riuscivano a provocare altro che sanguinose repressioni, riuscissero ad incidere politicamente nelle decisioni dei governi.
Io non so se queste manifestazioni violente siano – al pari di quello che accadeva un secolo e mezzo fa – il sintomo di un malessere sociale diffuso e incancrenito che non trova altro sfogo se non che nella violenza di gruppo e che siamo alla vigilia di una riorganizzazione intellettuale di questi movimenti in qualcosa di più significativo politicamente. Al momento non mi aspetto nulla di interessante. Men che meno un nuovo Marx che sistematizzi intellettualmente e politicamente il “malessere” sociale e gli dia una rappresentanza politica incisiva e alternativa alle idee dominanti. Questi sono tempi di tweet, non di analisi politica.
Però su questi temi, per evitare di cadere nella banalità, ci rifletto e invito i miei amici a riflettere. Perchè liquidare tutto come semplice violenza di facinorosi non spiega molto (almeno a me non spiega nulla). Ed è solo un fastidioso tamtam di banalità.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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