E pensare che quando uscì, nel 1961, pochi ma potenti critici scrissero che “Il disertore” di Giuseppe Dessì tradiva il tema storico della Grande Guerra come inutile strage e quello antropologico di un’isola che subisce e non vive i grandi fatti mondiali. Li tradiva, questi temi, a favore di uno struggente intimismo che molta cultura dell’epoca disprezzava, preferendo una narrazione “sociale”. Ci volle poco a capire che il racconto delle persone – dei loro animi e dei loro segreti – era quanto di più storico ed etnico si potesse fare, come ha dimostrato al teatro Civico di Sassari Gianluca Medas con la sua “Ballata di Mariangela Ecca”, splendido monologo che l’attore e drammaturgo ha tratto dal capolavoro del grande scrittore sardo. Lo accompagnava con la chitarra Roberto Deidda, perfetto “scenografo” musicale (in una scenografia reale volutamente scarna) di quell’ambiente che Dessì venne accusato di avere trascurato e che invece si forma addirittura icastico nei caratteri di Mariangela, del prete e degli altri personaggi.
La compagnia Figli d’arte Medas era a Sassari nell’ambito del Festival di Etnia e Teatralità organizzato dalla compagnia Teatro Sassari.
Il monologo di Gianluca Medas è una sua riscrittura della drammaturgia di un allestimento teatrale di alcuni anni fa tratto dal “Disertore”. La storia è nota. Negli anni del Fascismo rampante Mariangela Ecca nasconde che suo figlio non è stato ucciso in guerra ma era un disertore. Diamo noi un’accezione di vergogna pubblica a questo termine, ma la madre sa soltanto che è una condizione da nascondere, da rimuovere perché la sua collettività, tra lo strumentale isterismo fascista per la vittoria mutilata e l’indignazione socialista per il grande eccidio proletario, non può comunque accettare.
Il passato sarà sepolto sotto il marmo della retorica quando il nome del figlio comparirà tra quello dei trenta caduti del suo paese scolpiti alla base del monumento a loro dedicati, per realizzare il quale la donna poverissima offre i risparmi della sua vita.
Tutta qui, la storia. Semplice ma di un’efficacia inarrivabile per descrivere la mostruosità della guerra e di quel dopoguerra e il vero eroismo del popolo sardo, quello che unì combattenti e disertori in un unico sacrificio al dio pagano del 15-18.
Gianluca Medas in questa sua riscrittura ritrova l’italiano essenziale e perfetto di Dessì, forse l’elemento che ne fa uno dei più grandi scrittori sardi. E ne ritrova pure la tematica triste ma non pietistica, arrabbiata ma non rabbiosa, fiera ma non altezzosa. Con collaudata capacità attoriale, Medas si trasferisce in ruoli infiniti: dal cammino principale di voce narrante – in una sorta di straniamento che unisce in un difficile e bellissimo connubio l’estraneità e la partecipazione del narratore – si muove non soltanto con la voce ma anche con il corpo nelle digressioni descrittive dei vari personaggi, dando loro fiato e aspetto, per tornare poi al racconto impersonale. Insomma, un monologo davvero teso e trascinante, senz’altro non facile da interpretare, un esempio di grande recitazione e di buon teatro che ha riscosso il meritato consenso del pubblico sassarese.
(la foto in alto è tratta dal profilo facebook dell’attore)
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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