Ci vuole una massiccia dose di spregiudicatezza per accostare la figura di Pertini al narcisismo di Renzi, nella circostanza della presenza del Premier all’Us Open di New York. Innanzitutto, Pertini, al pari di altri capi di Stato, da Obama alla Merkel, non partecipò ai mondiali di calcio del ‘82 a risultato acquisito, come anche Prodi a quelli del 2006. Loro erano presenti alle finali nell’incertezza del risultato, 50 e 50, dove l’Italia avrebbe potuto pure perdere. Non attesero il triplice fischio per manifestare il loro interesse ed esibire, rischiare, la loro presenza. Che poi, Vinci e Pennetta, per quanto italianissime e per quanto si possa essere orgogliosi della loro prestazione, erano a quel torneo a titolo personale, non in rappresentanza dell’Italia. Cosa assai diversa, insomma, che annullare importanti impegni istituzionali, come la Fiera del Levante, con la presenza dell’imprenditoria di quella parte del Paese, il mezzogiorno, che arranca.
No, lui ha fatto scaldare i motori dell’aereo di Stato appena saputo che la finale di tennis, in diretta mondiale, avrebbe visto l’Italia trionfare chiunque avesse vinto. Una occasione troppo ghiotta per un narciso che prova la sua mimica anche prima di andare al cesso. Dubito che si sarebbe messo in viaggio se, al posto di due italiane, la finale fosse stata giocata da una soltanto. Con l’eventualità, 50 e 50, di vittoria o sconfitta. La sua immagine non può essere associata a un fallimento, per questo la sua presenza, i suoi selfie e i suoi tweet, è sì con i campioni, ma a gara finita: dal nuoto al volley, dalla scherma al basket, dai tuffi al tennis, al ciclismo. Sempre un metro dopo il traguardo, mai neppure un in bocca al lupo prima della competizione. Ché poi, se va male, magari potrebbero dire di lui che porta pure sfiga.
Lui, infatti, visita le fabbriche che producono, non quelle in crisi con i lavoratori davanti ai cancelli. La sua immagine non deve essere accostata alle catastrofi naturali (alluvione di Genova), la tiene a distanza di sicurezza dagli scandali politici (mafia capitale). Lui appare dopo, a lavoro finito e solo se c’è un merito da attribuirsi, un trionfo da esibire, una coppa da alzare. Lui millanta la falsa immagine pettinata di un’Italia di successo, sostenuto da una stampa compiacente e una politica omologata. Sempre pronti a giustificare ogni sua goffaggine elevandola ad atto amministrativo .
Dietro quella immagine forzosamente vincente c’è un Paese cui si stanno demolendo i pilastri della democrazia: dai diritti aboliti, alla scuola irreggimentata, dai sindacati derisi, alla giustizia sbertucciata, alla sanità per chi se lo può permettere, e un’economia sorridente solo nei dati Istat. Riforme costituzionali che stravolgono la nostra storia repubblicana e prefigurano scenari antidemocratici. Accade tutto sotto il nostro naso, sotto gli occhi di una opinione pubblica narcotizzata, incapace di distinguere l’azione demolitrice di un premier col piglio del capo classe, nominato e protetto dal preside, bonariamente scambiata per gesto goliardico di uno scaltro statista. Al peggio, un geniale paraculo, ma a scopo patriottico. Selfie?
(di Giovannimaria Mimmia Fresu)
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