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Alcune residenze della Costa Smeralda sono delle aziende di media grandezza. Certe famiglie, per le loro vacanze, assumono un cospicuo numero di dipendenti tra custodi, giardinieri, cuochi, donne delle pulizie, addetti alla vigilanza, manutentori, autisti.Spesso questi turisti, dalla più varia provenienza, possiedono diverse ville e quasi sempre uno yacht di rispettabili dimensioni, ragion per cui questo battaglione viene smistato tra diverse location, così da poter garantire accoglienza e decoro adeguati al rango dei datori di lavoro, quasi sempre attorniati da un nugolo di collaboratori e consiglieri.So che la Costa Smeralda è spesso vittima di malevolo e pregiudiziale occhio schermato da lente ideologica: io non ho intenzione di far cambiare idea a chi ha una pessima considerazione del modello economico rappresentato da questa parte di Sardegna.
Però è un fatto che questa ricchezza è fonte di lavoro per migliaia di sardi. Ma non è questo l’oggetto del post.
Serve, come ogni premessa, per spiegare la complessità apparente di quanto sto per scrivere.Questi dipendenti hanno, almeno in una parte dei casi, contratti a tempo determinato che vengono rinnovati di anno in anno. Nell’estate del 2020, nel mezzo dell’emergenza Covid appena iniziata, mi giunse notizia che in una di queste residenze il rinnovo del contratto era stato vincolato all’accettazione di una clausola piuttosto discutibile: l’obbligo del dipendente di non muoversi dalla sede di lavoro.
Preciso meglio. Il patto di lavoro proposto ai dipendenti prevedeva come condizione obbligatoria quaranta giorni di quarantena prima del vero e proprio inizio del servizio, per il quale si intendeva l’arrivo in villa del datore di lavoro. Da quel momento era fatto assoluto divieto di uscire dal posto di lavoro fino alla fine del servizio, coincidente con la partenza dalla Sardegna del padrone, le cui vacanze durano sempre diversi mesi.
Naturalmente, si era liberi di rifiutare le condizioni. Pena, il licenziamento.
E stato così che padri di famiglia prossimi alla vecchiaia hanno rinunciato a tornare nelle loro case per lunghissime settimane, mentre pochissimi altri si sono dovuti cercare un nuovo impiego, poiché impossibilitati o indisponibili ad accettare quel regime.Posi il problema di questa anacronistica limitazione della libertà personale, che a me appare ancora uno spaventoso salto all’indietro in un passato senza tutele sindacali.Ma mi accorsi ben presto che il problema non era avvertito come tale e, anzi, discuterne suscitava fastidio e insofferenza.Torno alla premessa. Questi “padroni” sono portati in palma di mano perché garantiscono buste paga molto generose a molta gente. Hanno potere e prestigio, creano un indotto, sono un ormai indispensabile comparto economico.
Neutralizzano per forza di cose orgoglio e spirito critico.Lo scorso anno, evidentemente consapevoli di aver imposto una limitazione della libertà individuale, i responsabili del personale hanno riconosciuto paghe raddoppiate a tutti i dipendenti, quantificando così il “disturbo” e assicurandosi fedeltà e silenzio dei dipendenti. Questi ultimi, nel clima di massima incertezza dello scorso anno, non avrebbero peraltro trovate alternative.Quest’anno le limitazioni alle libertà personali sono state confermate. A non essere confermate sono state invece le paghe doppie, sostituite da un generico ma non precisato bonus a fine stagione.Quasi tutti hanno accettato anche questa condizione, sia pure a denti stretti.Ecco quindi pacificamente metabolizzato l’obbligo di non poter mettere piede fuori dal luogo di lavoro, anche alla fine delle ore di servizio giornaliere stabilite. Obbligo fatto scivolare, lo scorso anno, ungendo la trattativa con un forte incentivo economico. Una volta che la regola si è fatta normalità e come tale ha iniziato ad essere percepita, ecco che anche l’incentivo è scomparso senza provocare troppo malcontento.
Chi detta le condizioni sa che potrà spingersi anche oltre. E altri potranno seguire quest’esempio, motivando il tutto con la limitazione degli spostamenti richiesti dall’emergenza sanitaria.Vi prego, ditemi che non sono il solo a pensare che qualcosa non vada.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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