La crisi italiana vista dalla terra ha un sapore agro-dolce. Siamo abituati a questi colpi di teatro, a questi movimenti tellurici che non spostano mai niente e visto che siamo preparati facciamo spallucce e andiamo avanti. Enzo Biagi amava rammentare che in questo strano paese dove tutto sembrava non funzionasse qualcuno riusciva, inspiegabilmente, a far trovare la bottiglia di latte davanti alla porta di casa. Altri tempi ma la metafora, a mio parere, è sempre valida. Sono cambiati gli attori e sono finiti i tempi monolitici in cui l’elettorato (e i pensieri) non si spostavano di una virgola. Lo zoccolo duro non riesce ad averlo più nessuno. Berlusconi pareva Napoleone e come l’imperatore è finito in esilio. Renzi era il nuovo Kennedy ma, in realtà era il fratello Ted un po’ più imbolsito. E Salvini? Mi ricordava il mio vecchio amico che non studiava ma che alla fine dell’anno con simpatia e furbizia finiva per sfangarla. Ed invece niente. Bocciato senza alcuna possibilità. Almeno per ora. Mi hanno fatto sorridere i riconoscimenti a grande immenso leader nei confronti di Giuseppe Conte. A riascoltare il suo discorso sembra, invece, quello di un buon docente di Diritto che dettava gli appunti a studenti discoli e svogliati. Avrei voluto sentire altri argomenti in quel Senato ormai stanco e sdoganato. Mi sto occupando, da tempo, di rivisitare i terribili anni settanta. Mi son ritrovato tra le mani un discorso incredibile, alto e terribilmente reale. Siamo nel 1977, l’anno dove il terrorismo impera, dove vengono uccisi Giorgiana Masi, Francesco Lorusso, dove Lama è contestato all’università la Sapienza di Roma, dove i cingolati di Cossiga con la K affrontano le masse, dove ci sono i ferimenti dei giornalisti: Montanelli e Rossi su tutti. Un anno maledetto. In quell’anno un signore minuto si permette di pronunciare un discorso che diverrà famoso. Ecco alcuni passaggi essenziali: “L’austerità è per i comunisti lotta effettiva contro il dato esistente, contro l’andamento spontaneo delle cose, ed è, al tempo stesso, premessa, condizione materiale per avviare il cambiamento. Così concepita l’austerità diventa arma di lotta moderna e aggiornata sia contro i difensori dell’ordine economico e sociale esistente, sia contro coloro che la considerano come l’unica sistemazione possibile di una società destinata organicamente a rimanere arretrata, sottosviluppata e, per giunta, sempre più squilibrata, sempre più carica di ingiustizie, di contraddizioni, di disuguaglianze.” Queste parole le diceva, nel febbraio del 1977, Enrico Berlinguer. Queste erano parole forti, coraggiose e, fatemelo dire, concettualmente e qualitativamente diverse da quelle del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il coraggio ha, come vedete, colori diversi. Quelli di Berlinguer nonostante siano passati 42 anni – 42 anni – sono ancora nitidi. E veri. Da questo si dovrebbe partire. Dal coraggio di dire la verità anche quando fa male perché non è semplice dire che questo è un paese che ha bisogno di austerità e di sacrifici. Ci vuole un dannato e fottuto coraggio per dirlo e sostenerlo. Di quello vero. Che non vedo.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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