Che colore ha Ridha Mahmoudi, il tunisino di 53 anni che ha ucciso, a Como, Don Roberto Malgesini, il prete che si occupava di lui e di tutti gli ultimi della zona? Facile rispondere: nero. Nero e denso. Come tutti i cuori cattivi che si son dati appuntamento per insultarlo, per chiederne l’immediata morte, per sottolineare che era un negro, un maledetto negro, un cattivissimo negro e che ha ucciso un santo, ne ha fatto un martire e lui, Ridha Mahmoud, dovrebbe bruciare all’inferno. Ve lo dico subito, seppure sommessamente: Don Roberto, la vittima, non sarebbe assolutamente d’accordo. Vi direbbe, nel suo silenzio immacolato, che Ridha ha in tasca tutti i colori e le contraddizioni del mondo. Non solo nero e non solo cupo. Ma il bianco dell’innocenza e il verde della speranza, quella che serviva per essere accettato e non accerchiato, rosso della passione e nero della paura e della vergogna. Don Roberto capiva che nella tavolozza dei colori tutto era posticcio, tutto era un pasticcio. E’ morto per tre coltellate sferrate da un uomo con problemi psichiatrici. Come tanti uomini, come tante storie complicate e difficili da dipanare. Poteva salvarsi Don Roberto? Chissà. Non è facile dirlo. Forse poteva o forse, per quella cocciuta voglia di entrare nelle caverne degli ultimi e dei reietti, avrebbe incontrato un’altra lama con la mano di un bianco, di un comasco, di un veneto, di un sardo. Vallo a sapere quale potrebbe essere il disegno di quel Dio incomprensibile, di quel Dio che onoriamo sino a quando ci fa comodo. Ha sbagliato Don Roberto? Domanda legittima che meriterebbe una risposta certa. Che non c’è. Quel prete, come tanti altri, ha abbracciato la storia di chi non ha storia. Non pranzava nei salotti buoni delle città, dove effettivamente risulta difficile trovarsi davanti ad un qualcuno che ti punta un coltello in gola. Don Roberto camminava nel fango di chi non può permettersi strade asfaltate, di chi non ha giocattoli per i propri figli, di chi, per colpa di un colore, non può far parte della roulette della vita. Eppure, a ben vedere, in quella maledetta roulette comandano solo due colori: il rosso e il nero. Ovvero: negri e indiani. Quelli espulsi da qualsiasi salotto. Voglio abbracciare Don Roberto e sono convinto che avrebbe preferito vivere. Per continuare ad occuparsi di quei colori difficili. Ma avrebbe comunque difeso, con forza, l’uguaglianza e la mitezza. Il colore di Mahmoudi non c’entra nulla. Forse occorre osservare il silenzio delle idee, il deserto del nostro pensare sociale, il nostro non voler investire negli uomini con colori diversi. Eppure, a ben vedere, due sono i colori della fortuna e del destino: il rosso e il nero. E noi continuiamo a puntare sul bianco. Che non uscirà mai.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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