La biografia su Antonangelo Liori scritta dal giornalista Giovanni Seu (Antonangelo L. Una vita spregiudicata, Edes, 15 euro) è un libro necessario, prima di tutto per la Sardegna.
So che è servito molto coraggio per scriverlo e una certa audacia alla Edes per pubblicarlo. E forse non è un caso che l’autore di questo libro sia sì sardo, ma da decenni viva lontano dall’Isola: forse la condizione migliore per poter valutare certi fatti senza risentire di partigianerie e passioni che in Sardegna, sinora, si sono risolte in un sostanziale silenzio su uno dei più singolari casi della nostra storia recente.
Solo che della vicenda umana e professionale di Liori è indispensabile parlare, semplicemente perché una società civile che abbia superato il vizio delle omertà deve interrogarsi su come questa parabola sia stata possibile.Che si stia dalla parte di Liori o che, invece, si considerino storia inappellabile e giudizio definitivo le sentenze che lo hanno condannato.
Per chi non ne avesse mai sentito il nome – cosa ben difficile, in Sardegna ci si conosce tutti – Antonangelo Liori è stato nei cinque anni tra il 1994 e il 1999 il precocissimo direttore de L’Unione Sarda, nominato a soli trent’anni quando era ancora un redattore ordinario: con azzeccata similitudine, Seu spiega che sarebbe come diventare generali partendo dal grado di soldato semplice, ma saltando tutti gli scalini intermedi della gerarchia.Ma Liori è stato ed è molto più di un giornalista. Se ne è sempre conosciuta la solida base culturale, la vocazione da antropologo della Sardegna sostenuta da brillanti studi universitari, la voracità dell’instancabile studioso capace di pubblicare apprezzati saggi sugli usi delle comunità locali e riflessioni degne di nota sugli autori della filosofia greca. E poi la sua veste di imprenditore dai molteplici interessi, per la verità difficilmente conciliabili con una professione di giornalista svolta ai massimi vertici.Poi la caduta. Una penna che diventa sempre più aggressiva e spesso volge inopinatamente alla minaccia, con toni clamorosamente violenti, una serie di vicende giudiziarie che hanno ben poco a che vedere con il ruolo che Liori svolge, facendone uno degli uomini più influenti della sua regione. Vicende giudiziarie tanto più sensazionali perché toccano un uomo che, in quanto direttore del più importante organo di informazione sardo, dovrebbe essere un esempio, un paradigma di probità cui tutti dovrebbero rivolgersi con ammirazione.
L’inchiesta di Giovanni Seu ripercorre le tappe della tumultuosa vita di Liori, la sua ascesa e il suo precipitare nelle aule dei tribunali, fino alla prigione. E, infine, la malattia, da cui l’uomo è stato duramente toccato senza perdere però la combattività di un tempo.Il libro cerca spiegazioni sociologiche e psicologiche ad una traiettoria che ci sembra inspiegabile.Perché a noi sembra inconcepibile pensare ad uno che ha letto e scritto tanti libri come un potenziale delinquente, non possiamo credere che un intellettuale di riconosciuta statura possa finire accusato di reati infamanti.Nella prefazione, Marcello Fois scrive che “il balente senza misura diventa barrosu”.In altre pagine, si lascia intendere che Liori volesse essere con tutte le se forze un balente senza però avere i requisiti genetici per esserlo, non essendo la sua una famiglia di pastori.Con tutte le sue forze, fino al punto da trasformare in esercizio di balentia la sua stessa direzione dell’Unione.In altre pagine, richiamando Antonio Pigliaru, si ipotizza che vi siano ancora zone della Sardegna dove il codice barbaricino prevalga sul diritto e il diritto stesso non venga affatto riconosciuto, dinamica che potrebbe spiegare certi consapevoli comportamenti di Liori.Spiegazione debole e non applicabile a tutti i casi nei quali il direttore è rimasto coinvolto.E allora: come è possibile che la società sarda non abbia potuto opporre anticorpi sufficienti per impedire che tutto questo potesse accadere?E questa domanda vale sia se si ritenga Liori davvero colpevole di tutto ciò che gli viene imputato, sia che invece prevalga l’idea di un complotto per togliere di mezzo una voce scomoda.Stiamo parlando, lo ripeto, del direttore di quello che all’epoca era il più condizionante quotidiano sardo, una vera istituzione.In verità, in Sardegna questa domanda non ce la siamo posti abbastanza perché Liori ha ancora molti amici e altrettanti estimatori e a tanti altri risulta imbarazzante parlare di una vicenda che coinvolge una parte considerevole della società civile del tempo.In un successivo capitolo del libro, si analizza l’incontro tra Liori e Nicola Grauso, l’editore che lo portò alla direzione. E si valuta se questo incrocio e la personalità debordante di Grauso possano avere influito nel seguito della storia.Chi scrive ha conosciuto l’editore Grauso (mio datore di lavoro a Epolis) e l’editore Zuncheddu, il prima e il dopo a L’Unione.In termini di libertà professionali, rimpiango molto il primo e molto meno il secondo.
Il finale è aperto. Non ci sono risposte, non ci sono soluzioni.So che Liori non è stato affatto contento del libro e ho letto suoi comment molto duri e ingenerosi su autori e su chi ha speso parole sul lavoro di Seu.Rivendica, l’interessato, una sorta di diritto all’oblio e di essere lasciato in pace.Ma la sua formidabile intelligenza sa bene che questo non è possibile, perché la sua vicenda non è una somma di fatti privati estranei alla società e alla storia di quegli anni.Antonangelo Liori non appartiene solo a sé stesso.E anche il suo giudizio su Seu è sbagliato, perché nelle righe di questa ricerca non c’è mai malanimo né pregiudizio.Anzi, talvolta si scorge simpatia e sempre profonda comprensione umana: non è da tutti.Anni fa litigai malamente con un giornalista quando Liori, dalla sua cella, riuscì a far arrivare ad un giornale online alcune osservazioni sulla condizione di detenuto.Scrissi che la vita umana e le sue manifestazioni di libero pensiero meritano sempre rispetto. Mi venne risposto che Liori non aveva diritto di parola.
Io Antonangelo Liori non l’ho conosciuto. Ho iniziato a collaborare a L’Unione quando lui era ancora in sella, ma il primo direttore con cui ho avuto stabili relazioni è stato il suo successore Bachisio Bandinu, mentre quello che mi assunse fu Mario Sechi.Tutti, di Liori, mi hanno sempre detto essere un incredibile talento distrutto da una smisurata ambizione diventata incontrollabile e persino masochistica.Però io ho anche conosciuto molti dei suoi detrattori. E non sono sicuro siano uomini migliori di Liori.Questa storia ha un finale aperto perché, in fin dei conti, deve ancora essere scritto.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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