C’è qualcosa di magico e di triste insieme nell’addio a Sinisa Mihajlovic da parte della società Bologna calcio. Quando la squadra non funziona si cambia allenatore. E’ una metafora che calza bene anche in politica. Si ricordano le foto del primo giorno, i bracci, gli abbracci, le promesse e la voglia di fare bene. Poi la magia finisce e cominciano a volare gli stracci. Funziona così dai tempi di Cristo in poi. Nulla sembra essere cambiato. Però questo strano addio di Sinisa ha una partitura narrativa diversa: lui è un guerriero, uno che non molla, un tosto, un duro. Poi la malattia, una leucemia maledetta. Il ricovero nel reparto specializzato, l’abbraccio del suo Bologna e dei bolognesi, i cori d’amore sotto l’ospedale, le vittorie tutte per lui. Sinisa Mihajlovic osserva quel mondo cinico e baro, quel mondo poco disposto a perdonare e capisce che la lampada di Aladino comincia a non rispondere a nessun desiderio. Si rende conto di non poter avere più quella magia, quella strana e infinita voglia di farcela non solo per lui, ma per la squadra. La leucemia sembra sparire e lui ritorna, con gli stessi occhi di tigre (Letta docet) ma i risultati non arrivano. Qualcosa si è rotto, è sparita la pozione magica e l’empatia comincia a scemare. “L’inverno sta arrivando” sulla panchina di Sinisa e lei, la bastarda leucemia ritorna, come una partita maledetta, come un incubo, come un gol preso all’ultimo minuto, come la distrazione della difesa. Gli occhi di tigre si inumidiscono, i bolognesi cominciano a contare le lacrime e i punti della loro squadra del cuore. Non è possibile continuare in questo modo, con questo allenatore. E’ una scelta tecnica e il cuore c’entra poco, come sempre. Sinisa Mihajlovic viene esonerato. Non sarà più l’allenatore del Bologna calcio e rimane solo, con la sua leucemia. Potrà continuare a combattere e asciugare dalle lacrime quei suoi stupendi occhi di tigre. A volte le magie si ripetono e Aladino qualcosa dalla lampada la tirerà fuori. Ci pensa Roberto De Zerbi, allenatore in attesa di panchina e, in altre occasioni, felicissimo di sedersi su quella del Bologna. Però lui, contattato declina l’invito. Non è amico di Sinisa, si conoscono appena. Solo colleghi. “Vorrei, ma non posso farlo, dopo Sinisa”. Ed ecco che le favole e la magia gira anche in quel mondo polveroso e un po’ cinico del calcio. Ed è bello vedere rotolare sul prato verde queste parole. Perché il calcio è una delle tante metafore della nostra pasticciata esistenza.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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