Non sono le cose che sembrano più giuste e semplici che si rivelano, in conclusione, le più oscure e difficili? (Pier Paolo Pasolini, Teorema, 1968).
Ho riflettuto molto, in questi giorni dietro questa frase che, chiaramente è inserita in un contesto diverso da quello odierno ed è incastrata, soprattutto, all’interno di un libro che seppure sublime, è dannatamente complicato. La frase è estrapolata dalla poesia “Sete di morte” dove si percorre, a nervi scoperti, la diversità di Pasolini, una diversità che ha un fulcro metaforico e che può servire anche a ragionare su cose “meno alte”. La poesia contiene un’altra frase che reputo bellissima: “Chi mi ha reso diverso (cosa meravigliosa) mi è stato vicino.” Pasolini si riferisce, ed è ovvio, alla sua omosessualità vissuta in un periodo che appariva – ai suoi occhi almeno – oscurantista, che prevedeva questa odiosa “malattia” o vizio “inaccettabile e inaudito.” Eravamo nel 1968 ed eravamo agli albori della forte ideologia che avrebbe caratterizzato gli anni a venire. Perché, però, rivangare vecchie frasi che appartengono, apparentemente, a un vecchio libro che nessuno legge più? Che è un concentrato di polvere antica, depositata negli anni? Perché Pasolini, nella sua terribile lucidità, qualcosa la diceva e aveva la forza e la potenza che solo un poeta può avere: il peso docile delle parole. E allora, perché crediamo che sia così semplice comprendere che oggi viviamo tempi terribili, bui, cattivi e maledetti, dove non vi è forza di comprendere, di mediare, dove è chiaro, è terribilmente lapalissiano che respiriamo all’interno di un’immensa bolla di demagogia, che non c’è nessuno spazio per la cultura, per la curiosità di conoscere, non vi è nessuno che scommette sulla ricerca, sui giovani. Perché nessuno riesce a capire che queste sono cose, per dirla con Pasolini, giuste e semplici? Proprio perché queste cose si rivelano le più “oscure e difficili”. Proprio perché nascondono una verità semplice e lineare, proprio perché è incredibile che la gente possa crederci, perché è chiaro che si recita nel teatro dell’assurdo, perché ci sono persone che davanti alla logica e alla naturalezza delle cose esprimono l’esatto contrario. Pensate, davanti a questa censura strisciante di gretti insulsi, qualcuno arriva e ha sempre la soluzione adatta ad ogni circostanza: dalla fame nel mondo, al contrasto tra i popoli, all’elezione del presidente della Repubblica. Avevo visto molte cose nella mia adolescenza convulsa e provocatoria. Ma non ero mai riuscito a vivere questa bassezza e povertà di idee, questa semplicistica e innaturale conclusione, questa modestissima e oscura viltà. Non ci sono più i poeti e la loro grande e infinita diversità. Viviamo in un firmamento di pensieri mediocri. E’ questo che mi addolora. Più di ogni altra cosa.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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