Sono le 8:27 quando Anna Maria Franzoni, madre di Samuele Lorenzi, telefona alla dottoressa Satragni, suo medico di base e vicina di casa, chiedendo aiuto perché il figlio perde sangue dalla testa e gli è scoppiato il cervello.
Sono le 8:28 quando Anna Maria Franzoni telefona al 118 chiedendo aiuto perché il figlio vomita sangue.
Sono le 8:29 quando Anna Maria Franzoni telefona al marito, comunicandogli che il figlio è morto.
Sono momenti febbrili, la Satragni si precipita a casa della sua paziente e tenta di mantenere in vita Samuele che, sebbene in agonia, ancora respira. Ma, inconsapevolmente, inquinerà in maniera irreversibile la scena del crimine. Arriva l’elisoccorso da Aosta e, mentre Samuele viene portato via, Anna Maria Franzoni sussurra al marito: – Facciamo un altro figlio? Mi aiuti a farne un altro? –
Da quel momento il delitto di Cogne avrà un’eco mediatica inaudita. Seguirà un processo che da subito presenta incongruenze, falsità, ricostruzioni compulsive e reiterate. L’ipotesi investigativa vede Annamaria Franzoni colpevole dell’omicidio del figlio, ma in preda ad uno stato di alterazione mentale tale da rimuovere integralmente il fatto. Per altri, invece, la donna incarna un’abile fabbricante di menzogne.
La ferocia alla base del delitto impone, fin dal primo momento, l’urgenza e la necessità di scoprire e condannare il colpevole. Tuttavia, l’alone di mistero innalzatosi attorno al misfatto non ha permesso di emettere una sentenza scevra da dubbi. Unica certezza: alla base di tutto sembra essere la follia. Anche se poi la perizia psichiatrica decreterà la lucidità della Franzoni, il massacro di un bambino addormentato in un lettone non può che essere compiuto da un folle, forse malato, forse spietato, ma comunque in preda ad un gesto di pura follia. Se poi l’autore di una simile azione è la madre, l’abisso della pazzia assume un carattere ancor più raccapricciante.
Il 14 marzo 2002 l’imputata subisce la condanna a 30 anni Il 30 marzo 2002 il Tribunale del riesame di Torino annulla l’ordinanza del gip, e proscioglie l’imputata dalle accuse, restituendole la libertà Il 3 luglio 2003 la Procura di Aosta chiede il rinvio a giudizio e l’anno successivo, con un rito abbreviato, Anna Maria viene nuovamente condannata a 30 anni di reclusione in quanto responsabile dell’omicidio del figlio. Il 21 maggio 2008 la Franzoni viene condannata in Cassazione, con sentenza definitiva, a 16 anni di detenzione. Pena che poi, per via dell’indulto, ottiene un’aggiuntiva contrazione passando da 16 a 13 anni detentivi.
Anna Maria Franzoni non è stata l’unica madre a compiere il più feroce e innaturale dei crimini. E, anche se appare una cosa inconcepibile, le madri possono uccidere i propri figli. In alcuni casi momentaneamente ignare della mostruosità del loro gesto, altre volte con la mente terribilmente lucida e con motivazioni valide solo ai loro occhi. Ma le madri che uccidono quasi mai sono mostri, sono piuttosto donne il cui silenzioso urlo di disagio non è stato avvertito e la muta richiesta di aiuto non è stata raccolta da chi le circonda. Anche se di questo a Samuele ormai non importa più nulla.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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