“In questi ultimi anni, in Sardegna, ci si sta finalmente rendendo conto del dramma provocato dallo spopolamento delle zone interne” ho scritto in un recente articolo in cui riflettevo sull’importanza di valorizzare, anche come consumatori, i prodotti alimentari sardi senza, tuttavia, scadere in una idea di autarchia alimentare. Spopolamento delle zone interne che finalmente è entrato, come argomento, a far parte dell’agenda politica, anche se con idee risolutive precarie, tanto da sembrare delle toppe messe a casaccio giusto per aumentare il numero dei residenti. “La maggior parte dei centri abitati dell’interno” proseguivo in quell’articolo, “a partire dagli anni ’70, ha incominciato a invertire il segno demografico, e il saldo è sempre più negativo, al punto che molti paesi ormai si sono dimezzati negli ultimi 30 – 40 anni. Distese di territorio, un tempo dedicate all’agricoltura, oggi sono abbandonate, e ricoperte di macchia mediterranea”. Si è pensato, così, di favorire alcuni processi in atto di popolamento, come quelli che vedono i pensionati europei o i migranti provenienti da paesi poveri giungere nelle zone interne, magari incentivati dal basso costo del patrimonio immobiliare. Idee che non si possono definire strutturali e che, purtroppo, hanno dato la stura, specialmente nel secondo caso, alle ormai consuete reazioni xenofobe e razziste, per giunta ampiamente strumentalizzate dai partiti xenofobi e populisti. “In Sardegna gli effetti dell’industrializzazione e dell’abbandono delle terre ha assunto effetti improvvisi e drastici. Sotto un certo punto di vista, in Sardegna il passaggio dal settore primario a quello secondario è stato stravolto dal fallimento quasi totale dell’industria, con un assorbimento di una parte della forza lavoro espulsa dal processo produttivo primario localmente nel settore terziario, accompagnata dal fenomeno massiccio dell’emigrazione. L’abbandono delle campagna, in Sardegna come altrove, inoltre, si è manifestato come un processo economico accompagnato da una forte pressione egemonica culturale, tendente a dipingere il mondo tradizionale come superato, antico, inutile, improduttivo. (…) I paesi dell’interno, con il loro prezioso e unico bagaglio antropologico e tradizionale, sono diventati dei presidi da difendere a tutti i costi, e si moltiplicano le battaglie contro la chiusura di una scuola sempre più ridotta di alunni, di un ufficio pubblico, che sia quello postale o di qualunque altro genere, di un presidio sanitario, di una caserma delle forze dell’ordine, di una linea di trasporto pubblico. Mi sembra tuttavia che l’agricoltura, che è il pilastro sociale ed economico della struttura sociale del territorio, rimanga al margine di queste discussioni.”. Si potrebbe dire che l’insieme di queste due immissioni, i pensionati in cerca di tranquillità e immigrati in cerca di lavori non più accettati dai residenti, possano integrarsi a vicenda. Tuttavia si tratterebbe di una forma di popolamento puramente quantitativo, con la trasformazione di centri con peculiarità storiche e culturali in altro, in assenza di una fattiva politica di graduale integrazione. Non ci sarebbe davvero nulla di male nel favorire politiche di questo tipo, se il tutto fosse accompagnato anche da altre politiche non solo di presidio istituzionale, ma anche sociali. Oltre alla promozione dei prodotti della nostra terra, si potrebbe pensare ad operare per diminuire quella distanza culturale che si è frapposta negli ultimi decenni tra i giovani e la loro terra. Tempo fa Sardegnablogger si attivò per una campagna dal titolo “un orto in ogni scuola”. Allo stesso modo, sempre da questa testata giornalistica, ci siamo attivati per valorizzare un sistema di sentieri, per trekking, ippovie, cicloturismo che dai paesi portassero ai luoghi ambientali, paesaggistici e storici di maggior interesse. Tutte cose che ormai, notoriamente, i turisti cercano con grandissimo interesse. Orti scolastici e sentieri sono due strutture semplici, cose pratiche e apparentemente banali, ma concrete e di forte impatto sociale per iniziare ad invertire il “trend” dello spopolamento interno che sembra ormai inarrestabile. Ma le idee, volendo, potrebbero essere tante; tuttavia un serio progetto che unisca queste ed altre idee ancora non si vede all’orizzonte. Si tratta di finanziamenti, peraltro, non esosi. Come non esosa è l’idea di finanziare, comunque, la realizzazione di parchi giochi per bambini nei paesi spopolati. Anche a costo di vederli arrugginire. Non arrendersi mai, comunque, anche mentalmente, all’idea che un paese possa restare deserto e privo di luoghi per l’infanzia.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo.
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