Ci furono dodici professori universitari su 1225 che nel 1931 si rifiutarono di giurare fedeltà al Fascismo. E persero il lavoro. “L’uno per cento”, commentò ironica la stampa fascista (cioè tutta la stampa italiana). Ma quei dodici – si disse quando cadde il Fascismo – salvarono l’onore dell’università italiana. Sui “Giusti tra le nazioni” italiani, cioè i non ebrei che hanno rischiato o perso la vita per salvare anche un solo ebreo perseguitato dai nazisti o dai loro servi fascisti, è difficile fare proporzioni. Ma non perché non sappiamo quanti siano stati. Israele, al termine delle sue severe istruttorie basate su prove materiali e numerose testimonianze, ne ha proclamato sino a ora nel nostro Paese più di cinquecento. Il fatto è che non sappiamo su quanti. Quanti italiani cioè per paura, menefreghismo, convinzione o chissà quali altri sentimenti abbiano sostenuto o soltanto tollerato le infami leggi razziali, trasformandosi anche in delatori, approfittatori e complici di quella criminale discriminazione, poi addirittura delle deportazioni e del massacro di cui furono vittime gli ebrei italiani. Credo che la proporzione dei “giusti” sia molto inferiore a quell’uno per cento dei professori universitari. Ma credo pure che quei cinquecento abbiano salvato l’onore di qualcosa di più grande dell’università, cioè l’onore dell’Italia. Fra questi ci sono alcuni sardi. Ne ricordo tre: lo storico Girolamo Sotgiu e sua moglie Bianca Ripepi, che rischiando la vita salvarono dalla morte una bambina ebrea, e il militare della Guardia di Finanza Salvatore Corrias, che di ebrei ne salvò centinaia e pagò con la vita. Parlo di lui in questa agenda perché oggi è l’anniversario della sua morte: fu fucilato dai fascisti il 28 gennaio del 1945. Ma in questi giorni dedicati alla memoria la riflessione non è solo rievocazione effimera. Corrias fu finanziere e uomo della Resistenza, partigiano e uomo delle istituzioni: una delle prove dei germogli di libertà fioriti persino tra le rovine di uno Stato annichilito da vent’anni di dittatura fascista, da una guerra, da una monarchia codarda e opportunista, da un’invasione tedesca del suolo italiano con la complicità di italiani. Nato a San Nicolò Gerrei nel 1909 e arruolato tra le Fiamme Gialle a vent’anni, Corrias dopo l’armistizio del 1943 si unì alla Resistenza nel gruppo azionista di Giustizia e Libertà. Scelse di mantenere la divisa anche per operare più liberamente nella zona del confine svizzero, che fece varcare a centinaia di ebrei e ad altri perseguitati . Fu scoperto e i fascisti delle Brigate Nere – italiani, quindi, non tedeschi – lo fucilarono nel cortile della sua caserma, davanti ai suoi commilitoni. Fu quindi uno di quelli che salvò il nostro onore. E l’onore di cui parlo non è una retorica entità, simulacro di inesistenti etiche dei comportamenti, appannaggio forse di quei fascisti che fucilarono Corrias. Parlo di un onore molto concreto affidato al coraggio e al sacrificio di quei giusti, dei partigiani e di tutti coloro che diedero un vero senso morale alla riconquista della democrazia e alla ricostruzione di un Paese che, con tutti i suoi immensi limiti, grazie a loro riesce ancora a stare nel novero di quelli civili. Io vado spesso nell’isola di Tavolara a parlare con Girolamo Sotgiu. Anche se lui non mi risponde perché io non sono Lee Masters. E’ sepolto nel piccolo cimitero e ogni volta, come una sorta di preghiera laica, mi siedo su una tomba accanto alla sua e senza aprire bocca, perché sennò gli altri visitatori mi prenderebbero per scemo, dico: “Buongiorno, professore. Si ricorda di me? Sono quel giornalista che lei conobbe nel 198…”. E gli parlo di quel nostro colloquio in cui da storico, da comunista e da combattente mi spiegò questo principio di cui ora vi dico come fosse cosa mia e cioè che uno solo può salvare l’onore di tutti. E prima di andare via mi rileggo sempre l’iscrizione sulla lapide che lui stesso molto prima di morire aveva dettato. Non la ricordo a memoria. Il concetto è che una vita che finisce con la morte, che non lascia memorie ed esempi, è una vita inutile.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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