Il diniego della Regione ai progetti metaniferi della Saras nella piana oristanese, non è piaciuto al Sole 24 Ore e al noto manager “ambientalista” Chicco Testa, ex presidente dell’Enel. L’Articolo di Jacopo Norfo del “Sole” ironizza su “l’Assessoradu de sa Defensa dell’Ambiente”, dipingendo due scenari in conflitto: l’uno, operativo e manageriale, concreto e versato allo sviluppo sostenibile, della milanese Saras; l’altro, propriamente sardo, paludoso, con un ambientalismo di retroguardia e, conseguentemente, privo di una rete metanifera. Chicco Testa rincara la dose, accusando i sardi di non essere ecologici e di essere “nimby” (l’acronimo che significa, in pratica, che pensi egoisticamente al cortile di casa), perché importare derivati dal petrolio è più inquinante di estrarre metano. Dopo aver ironizzato anch’esso sulle peculiarità ambientali del sito, e definita”singolare” la decisione della Regione, chiosa rinfacciando ai sardi che, fino alle metà del secolo scorso, in Sardegna, si moriva ancora di malaria. Lasciate fare a noi, sardignoli malarici e paludosi, e finitela con questo ambientalismo insostenibile. Che poi il progetto fosse stato rigettato per una questione di legittimità, pare non tangere costoro. Il progetto non era legale? Non rispettava gli strumenti urbanistici? Ma siamo in Italia! Chi ha mai rispettato i piani urbanistici? Sembrano dire, tra le righe, i nostri. Poi, bastano due gocce d’acqua per fare danni enormi, che si è costruito sui fiumi e sugli stagni. Ma pare che, nel nostro paese, il rispetto delle regole sia facoltativo, una cosa senza reale valore. Detto così, sembra una mera una questione formale. Ma in realtà non lo è. La Regione Sardegna ha il diritto e il dovere di programmare l’utilizzo del proprio territorio. Nella zona ha sede la più importante azienda agricola dell’isola, oltre a numerosi campeggi e strutture ricettive, data la vicinanza al mare. Realtà che funzionano bene nonostante il periodo di grave crisi. Né ci pare onesto invocare le modeste dimensioni della ricerca, perché essa non avrebbe senso se non propedeutica a ben più grandi impianti di estrazione. Vediamo un po’ questo ambientalismo eccessivo e “nimby”. Lo stagno di S’Ena Arrubia è una laguna con lo sbocco a mare, differente dalle paludi bonificate in epoca fascista, con la quale sono state confuse dai nostri. Essa è protetta, tra i numerosi vincoli, dalla più importante convenzione internazione sulle zone umide, quella di Ramsar del 1971. Nonostante queste protezioni su questi ecosistemi così delicati e fondamentali per la biodiversità, in Italia, secondo il WWF, dal ‘72 al ’94, le zone umide si sono praticamente dimezzate. Se tutte le nazioni prosciugassero le zone umide, il mondo resterebbe senza uccelli migratori. E quando si firma una convenzione internazionale, è giusto rispettarla e fare la propria parte. Invece, mettere in relazione la mancanza di una rete di metano con la sua estrazione è pretestuoso. In Sardegna, a dispetto del resto d’Italia, mancano, oltre ai gasdotti, anche autostrade e reti ferroviarie elettrificate. Ma non è un buon motivo per fare una autostrada che tagli in due la Giara di Gesturi o una ferrovia che trafori il Monte Arci. Non sarebbe un buon motivo per costruirle, da un giorno all’altro, in maniera scriteriata. E’ sufficiente farsi un giro per il mondo per comprendere che estrazione e distribuzione non sono affatto automatiche. La rete per il metano è una struttura che necessita di risorse e tornaconti di ben altro peso di quelli forniti da un unico giacimento, che trova la sua evidente convenienza in altri fattori economici. Basti pensare che il gas estratto in Italia copre solo il 15% del fabbisogno nazionale. Dichiarare che “La Sardegna rinuncia al suo metano” è un titolo equivoco e subdolamente suggestivo, perché induce a pensare che la Sardegna, schizzinosa, rinunci alle fonti di energia per motivi puramente ideologici. La Sardegna produce molta più energia di quella che consuma. Surplus che si disperde lungo le condutture verso il continente. Uno spreco sostenuto solo dal mero affarismo, spesso incentivato con i contributi a pioggia sulle energie rinnovabili. In realtà, sarebbe corretto e onesto ammettere che, in Sardegna, non c’è mai stata nessuna relazione tra la produzione di energia e le economie locali: nessuno sconto nelle bollette, nessuna agevolazione, nessuna concorrenza di mercato vantaggiosa. Certo, c’è il discorso dei posti di lavoro, che qui però non sono solo in concorrenza con la salute pubblica e l’ambiente, ma anche con altre economie locali ben affermate che i loro posti di lavoro già li producono. Ecco perché è irricevibile l’accusa provocatoria che ribalta la questione ecologica. Siete contro lo sviluppo sostenibile. Come spesso succede, le visioni stereotipate, calate sul caso specifico, possono risultare incongruenti. E se l’isola importa metano, è solo per una carenza strutturale che penalizza la Sardegna di fronte alle altre regioni italiane. Certo è uno strano concetto di sviluppo sostenibile che hanno costoro, attivare un giacimento di metano a pochi metri da un area protetta da tutti i vincoli possibili e immaginabili di questo mondo, nei pressi di una florida azienda agricola, vicino al mare, e a poche centinaia di metri da un paese. Mi piacerebbe capire se accetterebbero la stessa cosa nei pressi di un’altra zona umida protetta d’Italia, a Comacchio per esempio, o a Chioggia. Località oggi note per la loro natura e per il loro turismo ma che, fino a un po’ di tempo addietro, soffrivano la malaria esattamente come la soffrivano in Sardegna. Così come esisteva la pellagra nella Pianura Padana, e tante altre malattie in una Italia che vedeva la popolazione lottare per la sopravvivenza in tempi ben più duri di questi. Tuttavia, è bene ricordarlo a Chicco Testa, la malaria in Sardegna ebbe una drammatica recrudescenza dopo la metà dell’800, a causa del disboscamento operato dagli industriali d’oltremare, sotto la promessa di moderne riforme che avrebbero accompagnato l’isola verso un futuro fatto di privatizzazione delle terre e fattorie modello. Gli alberi presero la via del mare e finirono per edificare le ferrovie del Nord Italia, mentre in Sardegna rimase il deserto e, appunto, la malaria. Poi guarimmo dalla malaria ma arrivarono i veleni delle servitù militari e delle industrie pesanti. Tutte cose che hanno sottratto prezioso territorio turistico e agricolo, lasciando enormi problemi legati ai costi per le bonifiche, quasi sempre scaricati sulla Regione. Lo scrupolo è, pertanto, doveroso per evitare il ripetersi continuo di gravi errori, che pesano sull’economia, sulla salute, e sulla natura circostante. A proposito di natura che ci circonda. Forse non c’entra niente. Però i sardi chiamano i fenicotteri “sa genti arrubia”, la gente rossa. Pare che S’Ena Arrubia sia una contrazione di quel nome, dovuto alla presenza dei fenicotteri. La gente rossa. Si, lo so, forse non c’entra nulla, però. Che bel nome per definire una specie del creato.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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