di Fiorenzo Caterini
Tra pochi giorni partiranno i campionati mondiali di atletica di Pechino, con il clou rappresentato dalla stellare sfida tra il giamaicano Usain Bolt, forse il più grande velocista di tutti i tempi, e il discusso americano Justin Gatlin, trovato già in passato per ben due volte positivo all’antidoping.
Una sfida che promette di infrangere abbondantemente il muro “sacro” dei 10 secondi nei 100 metri.
La Giamaica, com’è noto, è terra di grandi velocisti. Negli ultimi anni, velocisti giamaicani e in genere caraibici, hanno conquistato le piste dell’atletica detronizzando gli americani, per tradizione inveterata i più forti nella gare di velocità. L’isolamento dei discendenti degli schiavi africani nelle tante isole caraibiche, con il tempo, sembra aver creato una sorta di super-razza portata nell’esprimere velocità e potenza.
In passato solo l’immenso Pietro Mennea e pochi altri velocisti europei avevano interrotto il primato dei neri americani. Oggi la contesa tra caraibici e americani non sembra accettare intrusioni da parte di terzi incomodi.
Sono passati 20 anni da quando la staffetta italiana conquistò la medaglia di bronzo ai mondiali di Goteborg, in una fresca e ventosa serata d’agosto, di quelle non troppo adatte ai velocisti.
Quella medaglia di bronzo giunse dopo aver conquistato la finale con una condotta di gara perfetta sia in batteria, sia in semifinale, dove la nazionale per poco non infranse il primato italiano che perdurava dai tempi di Mennea. Mentre la favorita staffetta USA si perdeva nelle eliminatorie a causa di una tecnica piuttosto approssimativa nel passaggio del testimone, l’Italia si ritagliava uno spazio importante dietro il Canada e l’Australia.
Quella staffetta, per noi sardi, andrebbe ricordata con molto orgoglio. Infatti la metà degli atleti della nazionale azzurra erano sardi, Gianni Puggioni e Sandro Floris.
I due atleti sardi erano schierati nelle posizioni chiave, rispettivamente in prima e ultima frazione. Gli altri atleti della nazionale erano il ligure Ezio Madonia e il laziale Angelo Cipolloni. Trai tecnici di quella nazionale, a calibrare al millimetro i cambi, c’era un altro sardo, Gianfranco Dotta.
Per uno scherzo del destino, quella staffetta avrebbe potuto arruolare un altro grande velocista sardo dell’epoca, Giorgio Marras, tenuto fuori a causa di un infortunio. Era un periodo molto felice per l’atletica sarda, che vantava anche i successi di Valentina Uccheddu nel salto in lungo. E’ stato valutato che una ipotetica staffetta sarda negli anni ’90, con il valido Nicola Asuni, anche lui atleta nazionale dell’epoca, oltre ai tre citati, poteva primeggiare tranquillamente a livello europeo.
La staffetta veloce nell’atletica è l’arte della sincronia e della precisione. Non basta che vi siano atleti veloci, occorre che gli stessi siano bravi a far scorrere tra loro il testimone il più velocemente possibile. Il passaggio del testimone, infatti, deve essere fluido, e deve avvenire dentro i limiti tassativi consentiti, a velocità il più costante possibile.
Arriva il tuo compagno a oltre 40 km all’ora. Lo vedi che si avvicina velocemente e tu devi attendere il momento giusto per partire. Se aspetti troppo a partire, il cambio risulta schiacciato, e la staffetta frena, perdendo attimi irrecuperabili. Se la frenesia di scattare prende il sopravento prima del previsto, il compagno rischia di raggiungerti dopo il limite: squalificati.
La staffetta 4×100 è un arte meravigliosa e affascinante: gli atleti scattano sempre al limite della squalifica per guadagnare centesimi preziosi, e spesso sono le formazioni meno forti sulla carta, ma più tecniche e preparate, ad aver la meglio su formazioni con tanti galli nel pollaio ma poco affiatate.
Quell’anno andò così. Gianni Puggioni, in prima corsia, garantiva un tempo di reazione ottimale e una tecnica di corsa in curva eccellente, all’esperto Madonia toccava il rettilineo opposto, poi Cipolloni in curva, e infine Sandro Floris, dotato di un “lanciato” formidabile, al livello di atleti molto più titolati di lui.
Quando tutto il turbine dei cambi si diradò come la nebbia al sole, dietro il Canada e l’Australia comparve l’Italia, davanti alla Giamaica in disperata rimonta.
L’Italia, anzi, la Sardegna, nel 1995, davanti a sua maestà la Giamaica.
E che la Sardegna sia un po’ una piccola Giamaica del Mediterraneo lo dimostra la grande tradizione che ha sempre avuto nel settore della velocità e dei salti in estensione. Tradizione che risale ai tempi del compianto Tonino Siddi, il grande velocista sassarese che, nel 1948, a Londra, vinse la medaglia di bronzo nella 4 x 100 ai Giochi Olimpici di Londra correndo in ultima frazione, dietro gli imbattibili americani e ai padroni di casa.
Insomma, quando pensiamo ai sardi nello sport ci vengono in mente le imprese dei pugili, dei fantini e di qualche calciatore dimenticando la grande tradizione, di livello europeo e mondiale, che i sardi hanno nell’atletica e in particolare nelle gare di velocità e salto in lungo.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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