Se glielo chiedi, senza che possano guardarla, da che parte sono rivolte le teste dei quattro mori della bandiera sarda, forse non sanno rispondere e ancora meno sapranno da quando gli è stata voltata la testa. Eppure vi si fasciano il capo, la usano come mantello, la vedi ai concerti, negli stadi o portata in dote da sudditi genuflessi ai nuovi conquistatori venuti dal mare. Insomma: dei quattro mori ci si fa vanto o si fa scempio. Poi, da un tg, capita di vederla garrire in Val di Susa nelle proteste anti TAV e ti domandi, a parte l’unica affinità con il simbolo combattente, quando ancora incarnava lo spirito autonomista, forse pure indipendentista, ma di cui sono rimaste solo occasionali recite: cosa centra con quella lotta? Cosa c’entriamo noi con la battaglia contro nuove gallerie in cui far passare treni ad una velocità per noi inimmaginabile. E già, sulla base di quale esperienza di strade ferrate andiamo fornendo il nostro supporto a quella battaglia? Cosa ne sappiamo noi sardi di treni che già adesso viaggiano a 180 km/h e di tunnel interminabili? Di quali esperienze di velocità ferroviaria, di montagne traforate per accorciare i nostri tempi di viaggio siamo portatori da poterle raccontare come stimolo o come monito? Ancora oggi per andare da Cagliari a Sassari, 176 Km di ferrovia, occorrono 3 ore e mezza, per una media oraria di 50,28 Km/h. Sulla Transcontinentale della Union Pacific quando venne completata nel 1869 (cinque anni dopo lo sterminio degli Cheyenne e Arapaho sul fiume Sand Creek) si andava più o meno alla stessa velocità. Tre ore e mezza a patto che da piazza Matteotti a Cagliari il treno non parta con quarantacinque minuti di ritardo, come accaduto qualche giorno fa, oppure si fermi per avaria, fummo testimoni, per oltre un’ora in aperta campagna, fra Chilivani e Mores. Agitando i quattro mori la politica sarda, in nome della bandiera, negli ultimi quarant’anni le ha pensate tutte per velocizzare i trasporti, specie quello ferroviario e se in tutto questo tempo non sono riusciti a far scendere i tempi di percorrenza da una estremità all’altra dell’isola al di sotto delle tre ore e mezza, allora la distanza, disse la politica, era meglio sorvolarla. Sprezzante del ridicolo, la politica propose l’aereo. Sono state epiche le guerre partitiche per accapparrarsi un aeroporto. C’era, ma qualcuno lo pensa ancora adesso, chi puntava sull’ampliamento di Fenosu e chi lo reclamava tra Bolotana e Ottana, mentre altri lo azzardavano sulla piana di Chilivani, ricordando che esisteva già nel periodo bellico. Solo per i voli pindarici, la nostra politica, non ha bisogno di una pista di decollo, mentre di treni a velocità decente ne sappiamo quanto la stazione di Giave.Eppure, salvo le poche nobili lotte in cui garrisce fiera, la bandiera dei quattro mori la si vede oggi esposta ad ogni vento: quello frivolo e vanaglorioso o quello derivato da sintesi gastrointestinale. Questo accade quando la bandiera è data in dono ad estranei in cambio di perline di vetro, in particolare quando è donata a chi ha sempre dichiarato di farne un uso improprio, non capendo il significato simbolico, nè la differenza, si presume, tra la fibra acrilica o poliestere e la carta (igienica).
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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