Io, davanti alla complessità delle cose rispondo quasi sempre serafico: “poblemi, sempre poblemi”. Era una frase utilizzata da un detenuto pastore dell’Asinara, un sardo dell’entroterra, condannato per un omicidio legato allo sconfinamento di bestiame in altri terreni. Un classico, direte voi. Ma lui era davvero un personaggio. Viveva nella diramazione di Case Bianche ed era addetto alle capre che portava quotidianamente verso Punta della Scomunica da dove, occorre dirlo, si gode di un panorama mozzafiato. Fu lui, appunto, che mi accompagnò, per la prima volta, tra i sentieri verso il punto più alto dell’Asinara. Si vedeva un orizzonte infinito, l’isola quasi addormentata sul mare e il faro che, sornione, attendeva. Al detenuto, in realtà, questa visione bucolica ed estasiante non interessava affatto. Perché, come continuava a ripetermi mentre scalavamo la piccola collina “qui ci sono poblemi, sempre poblemi”. Mi raccontava di un suo collega che non sapeva radunare le capre in tempo, del capo diramazione che non trovava la domandina per poter telefonare a sua moglie. Poblemi per l’approvvigionamento dell’acqua, per il cambio dei vestiti, per la mungitura. Poblemi per le sigarette e per qualche capra che faceva i capricci. E le chiamava per nome. Aveva battezzato, negli anni, (si trovava ormai quasi da un decennio sull’isola) circa cinquecento capre con nomi di donna. Solo ed esclusivamente di donna. Gli chiesi il perché di questa scelta bizzarra e mi rispose con un sorriso che non lasciava lo spazio a nessun commento: “almeno posso affermare di essere l’unico ad avere molte donne in un carcere”. Provai a ribattere chiedendo se questo fosse un “poblema” e gettando il mozzicone della sua consunta sigaretta aggiunse: “certo, il poblema è legato ad alcune capre che si azzuffano e mi ricordano certe donne che ho conosciuto. Sono poblemi che non si risolvono con facilità”. Lo incontravo spesso ed era sempre di buon umore, non chiedeva quasi nulla, a parte sciorinarmi l’elenco dei vari poblemi divenuti, ormai, endemici e caricaturali. Qualcuno, un giorno, mi fece notare che nel branco di capre del nostro detenuto difficilmente nascevano due capretti dalla stessa madre. Si sospettava, infatti, che nascondesse l’eventuale gemello da qualche parte per mangiarselo in santa pace da solo o con qualche suo compagno di sventura. Ovviamente era solo un sospetto e secondo il capo diramazione più di un sospetto. Mi faceva sorridere l’idea che il costruttore di “poblemi” avesse come problema principale quello di gestire capre “monomamme” mentre da altre parti si figliavano due o tre capretti gemelli. Lo attesi un giorno tiepido di primavera per chiederglielo. Mi rispose subito: “E’ un poblema. Credo sia per colpa di questo monte scomunicato e di questo pascolo cattivo. I gemelli nascono solo nel pascolo grasso”. Provai a ribattere che a Trabuccato o a Campu Perdu non ricordavo di un pascolo “alpino”. Mi guardò, abbassando il viso: “Questi, per fortuna, non sono poblemi miei, ma dell’agronomo. Io un detenuto sono”. La leggenda narra che nelle giornate limpide di Aprile si levasse, verso Punta della Scomunica, un sottile filo di fumo che poteva far pensare ad un arrosto. Magari un capretto gemello dimenticato. Tutti sorridevano e immaginavano.Ma non erano poblemi loro.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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