Una modesta proposta ai colleghi giornalisti che, al contrario di quella di Swift, non è ironica ma seria, oltre a essere senz’altro meno qualificata. In parole povere, smettetela di fare titoloni sull’immigrato che restituisce il portafoglio trovato in strada. Siete così attenti a usare ogni parola corretta e alla moda ma non vi rendete conto che in questo modo gli state dando del “negro” più di un qualsiasi leghista di pessima cultura. Io non ho mai creduto al banale insegnamento di origine anglosassone per il quale il cane che morde un uomo non fa notizia mentre il contrario lo fa. E infatti nelle moderne scuole di giornalismo nessun docente si sognerebbe di usarlo. Magari funzionava quando le campagne erano molto più abitate e c’era più prossimità tra persone e cani randagi e quindi le aggressioni erano fatti comuni. Ma ora se uno che va a passeggio si becca un morso, per il giornale locale è giustamente una notizia. La notizia è quindi un’eccezione alla normalità. Oppure è notizia quando un fatto negativo diventa talmente ripetitivo da costituire un allarme sociale. Per esempio, se ora tutti i cani si mettessero a mordere gli uomini la cosa costituirebbe senz’altro una notizia. In quale di queste circostanze rientra la vicenda di un immigrato che trova un portafogli sul marciapiedi e lo restituisce al proprietario o lo consegna alle autorità? Per me in nessuna. Da un lato perché non è un’eccezione, come dimostra il fatto che un giorno sì e uno no notizie del genere appaiono su giornali locali e nazionali. Dall’altro il suo ripetersi non costituisce allarme sociale. Si potrebbe dire che si dà la notizia per dimostrare con il suo ripetersi che gli immigrati sono onesti. Ma in questo caso, se sei convinto che la diffusa onestà degli immigrati sia una notizia, fai un’inchiesta in cui raccogli le numerose segnalazioni di portafogli restituiti da immigrati e concludi dicendo che gli immigrati restituiscono i portafogli. Ora, cari colleghi, io penso che molti di voi, anche nelle testate più insospettabili, siano inconsciamente razzisti e che in cuor loro considerino davvero una notizia il fatto che uno di quei brutti musi neri restituisca il portafoglio anziché usare i soldi per nutrire il suo miserabile corpo e quelli altrettanto sfigati di moglie e figli, o, peggio, spendersi i soldi in droga e ballerine con gonnellino di banane. E tra di voi c’è un’altra diffusa categoria: quella di chi sa benissimo che il portafoglio restituito non è una notizia, ma indulge al gusto populista di una grande massa di lettori, ben sapendo che il populismo non è una pianta infestante che nutre soltanto le testate addette al settore, ma anche quelle politicamente corrette che però hanno bisogno di un pubblico vasto e composito. Per vendere più copie, in sostanza. C’è anche una terza categoria, ma mi auguro che per la sua ingenuità sia la meno rappresentata: quelli che pensano che dare continuamente la notizia di portafogli restituiti dagli immigrati meglio se di deciso colore costituisca un insegnamento nei confronti del pubblico razzista, tipo “visto che non sono ladri come pensavate voi?”. Ci sono due capolavori che descrivono in maniera struggente, oltre a quelle palesemente devastanti, le più sottili, infide e insidiose infiltrazioni sociali e psicologiche del cancro razzista. E non a caso sono entrambi di autori Usa: “Uomo invisibile”, di Ralph Waldo Ellison, e “Il buio oltre la siepe”, brutta traduzione italiana del titolo “To Kill a Mockingbird”, di Harper Lee. Io da ragazzo più che leggerli li ho assunti e metabolizzati. Rileggeteli, cari colleghi, sono più rivelatori dei saggi sociologici perché rivoltano le nostre coscienze di “bianchi” dicendoci che quelli che impiccano i negri ai pali della luce sono bestie che si possono facilmente individuare e fermare, il vero pericolo siamo noi, con il nostro razzismo travestito da pietosa saggezza. Convincetevene: un immigrato che restituisce un portafoglio trovato in strada non è una notizia, è la normalità, ci sono immigrati che lo fanno e altri che non la fanno, esattamente come per noi. Anzi, se volete entrare in una logica davvero di giornalismo moderno e democratico, cominciate a poco a poco, superando gli sforzi e le perplessità iniziali, a pensare che non ci sono un “noi” e un “loro”. C’è soltanto un noi che comprende anche loro.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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