Leggo su non poche testate che ha vinto Renzi perché in fondo lui, zitto zitto, voleva arrivare a Draghi. In effetti, se si giudica la politica con criteri di astuzia muscolare, Renzi ha vinto. E questo mi ricorda un periodo di poco post sessantottino, per fortuna durato soltanto pochi mesi, quando a Sassari il confronto fisico con i fascisti divenne il nodo politico anche per troppa gioventù di sinistra. La diffusa e oggettiva condivisione dei comportamenti fascistoidi improntati a malinteso senso dell’ardimento e della forza corporale portarono anche alla provvisoria centralità di alcuni modelli, cioè i picchiatori, personale che i fascisti possedevano qualitativamente e quantitativamente in misura esorbitante rispetto alla sinistra. E molti di noi erano tanto presi da questa follia del confronto fisico, da invidiarli ai fascisti, anziché ragionare e contrastare, anche con la piazza, i poteri neppure tanto occulti che muovevano le provocazioni neofasciste. Non appaia blasfemo il richiamo a quei tempi, ma ammirare Renzi per la sua capacità di manovra politica mi ricorda quel periodo, grazie al cielo limitatissimo, nel quale per la disperazione provocata dalle continue risse e dagli agguati sotto casa, ci piegammo a ragionare con criteri che solitamente ci erano estranei. Non voglio naturalmente paragonare Renzi a un picchiatore fascista ma parlarne come di uno che fa politica con metodi e obiettivi al di fuori delle categorie della politica utile per la collettività e delle quali troppi commentatori professionali, nel giudicare, si stanno dimenticando, forse per paura di sentirsi dare della radical chic, come è accaduto a Concita De Gregorio per una sua coraggiosa analisi sul Pd e Zingaretti. Renzi, a mio avviso, appartiene alla stessa pianta infestante di Salvini e dei Cinque Stelle, cioè piccoli ma efficaci demagoghi che, anziché progettare e proporre progetti, tentano di proporre le loro stesse persone fisiche quale risposta ai movimenti di pancia di un popolo sempre più impaurito, aggressivo e sempre meno controllabile. La sua concezione di “poltrona” qualunquisticamente e farisaicamente rifiutata come elemento negativo, è un’adesione appunto demagogica agli umori anti élite che Salvini e la Meloni cavalcano più o meno con gli stessi metodi. Qual è in fondo il senso di questa crisi e della chiamata ancora non si sa quanto proficua del salvatore? I soldi, in parole povere. Una quantità enorme di fondi europei, quanti la classe dirigente italiana non vedeva da decine di anni: risorse che andrebbero investite con sapienza politica e che invece la politica attualmente al potere in Italia vorrebbe gestire “politicamente” nel senso deteriore, cioè portando acqua al mulino del consenso di ciascun partito. O meglio, di ciascuna persona politica. La crisi attuale è da valutare in questo senso. Le pattuglie di “responsabili” provenienti dalla destra si sono fermate ai rispettivi confini non perché temessero di varcare limiti ideologici o di coerenza, ma perché, stando ai sondaggi, hanno stabilito che le possibili elezioni anticipate potevano offrire più dell’ormai debole Conte. Ecco, tra i tanti altri guai l’Italia non ha più un’area moderata, una destra che in qualche misura potrebbe definirsi storica. Ha gente che guarda ai sondaggi come alla stella polare, e per dare la direzione le intenzioni di voto contano più dei morti di virus e delle famiglie alla fame. Il bipolarismo agitato dall’elemento fluido dei Cinque Stelle si sta dissolvendo, resta soltanto il disperato tentativo di cavalcare paure, frustrazioni e rabbia. Di questo pensiero fa parte anche Renzi e ciò che rappresenta, e c’è una sinistra tentata di ammirarlo, di omologarsi a questo modo distorto di misurare il valore politico, proprio come noi ragazzi sessantottini, in quei pochi mesi di pugni e bastonate, facevano con i picchiatori fascisti. Peccato perché, in rapporto ai tempi che ingentiliscono molto i nostri giudizi nel senso che ti devi accontentare, l’area che potremmo definire “progressista” (non dico di sinistra per non attirarmi le cipigliose precisazioni di chi ovviamente per “sinistra” intende altro) potrebbe contare su personale politico che il campo accidentato dei populisti si sogna. A cominciare da Prodi, ma poi Enrico Letta, Gentiloni, Bersani, Veltroni, lo stesso Renzi e uno come D’Alema, ma chissà quanti altri, presi singolarmente e giudicandoli soltanto in base alla loro potenziale capacità di guidare la pubblica amministrazione proficuamente per il Paese, costituirebbero classe politica di buon livello. Ma alcuni di loro, per motivi di potere personale, sono stati fatti fuori da altri compresi nello stesso elenco e allora questo mio ultimo ragionamento è soltanto una irrazionale paturnia dovuta al malumore, ché la politica non è solo capacità di amministrare per il bene pubblico, ma anche la voglia di farlo sacrificando alle volte anche le ambizioni personali.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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