Mi scuserà il maestro Cosimo Filigheddu se esco dalla traccia del tema e se in queste righe dirò di giornalismo parlato, anziché del giornalismo scritto come appare nelle pagine dei quotidiani.E’ domenica, giornata dedicata al sacro rito del calcio. Ormai solo sul divano e davanti alla televisione, dato il momento. Direi anche dato il momento meteorologico, visto che piove e tira vento.Da italiano medio, ogni volta che vedo un pallone rotolare su un campo verde, io mi fermo a guardare finché l’arbitro non fischia tre volte.Telecronache e radiocronache sono giornalismo, non ho mai avuto dubbi: uno pagato per raccontarti quel che accade da un punto di vista migliore, perché più vicino e più a conoscenza di ciò che racconta.Da piccolo sognavo di fare il radiocronista e per qualche anno una radio locale me lo ha pure permesso, esperienza che ricordo sempre con grande nostalgia. Bisogna misurare le parole, mettere in sincrono voce e respirazione, allenare i nervi: pratica davvero formativa.Nelle telecronache, ormai da un paio di decenni il cronista è affiancato da una seconda voce: lo chiamano commentatore tecnico, in qualche caso l’ho visto addirittura qualificare come “analista”. Spesso da questa combinazioni di voci escono neologismi o esperimenti linguistici davvero sorprendenti per audacia, ma anche per la disinvoltura con cui vengono praticati.
Ieri sera, ad esempio, seguivo la partita di Serie A su Dazn. Il commentatore tecnico, ex calciatore fino a pochi mesi fa, si è incaponito nel sostenere che un certo centrocampista molto propenso ad aiutare i compagni fosse “organico”. Lo ripeteva spessissimo, perché evidentemente andava orgoglioso di questa sua definizione, certamente innovativa nel frasario un po’ ingessato delle cronache calcistiche. Solo che a me “organico”, detto senza specificazioni, fa venire in mente la raccolta differenziata, nella più civile delle associazioni. Nella peggiore, mi fa venire in mente il sergente di Full metal jacket che nel suo celebre monologo parlava di “sostanza organica anfibia comunemente detta” eccetera eccetera.
Una seconda voce che ammiro molto è Massimo Ambrosini, ottimo centrocampista del blasonato Milan di qualche anno fa. Preciso, intelligente, in possesso di un buon vocabolario e di perfetti tempi d’intervento.Solo che Ambrosini, ogni volta che commenta un calcio d’angolo o di punizione, ci spiega che “attaccanti e difensori si accoppiano in area di rigore”. E io puntualmente immagino centrattacco e stopper che danno libero sfogo alle loro pulsioni, dichiarando pubblicamente i personali gusti sessuali davanti all’attonito portiere. Quel che trovo scientificamente inspiegabile è che al telecronista che lo affianca non scappi mai da ridere.
Ci sono poi quelli che, quando un calciatore stramazza a terra facendo temere per la sua vita, segnalano l’accorrere di medici e massaggiatori con “l’ingresso sul terreno di gioco dei sanitari”.In quel caso, mi attraversa la mente la raccapricciante immagine di un bidet che trotterella sul campo fino a raggiungere il giocatore in preda alle più atroci sofferenza. Scena che, evidentemente, non avrebbe senso immaginare su un campo di calcio francese.
Quando ancora noi di Sardegnablogger andavamo di gente in gente per leggere in pubblico i nostri racconti, una volta interpretammo un testo che sommava le frasi fatte del grande Bruno Pizzul.Cose come “ha il problema di girarsi”, “avanza col suo caratteristico stile”, oppure giovane promessa “di cui si dice un gran bene”.Ricordo che ad assistere al reading c’era anche un peso massimo (e qui non dovete immaginarvi Cassius Clay) del giornalismo italiano come Gian Antonio Stella, che mi pare avesse molto apprezzato quella riflessione semiseria sul linguaggio automatico nelle cronache sportive.
Ora però mi pare che nel cercare di deautomatizzarlo, tra significati e significanti, ci si sia spinti fino al cabaret, inteso come spettacolo che fa ridere.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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