La tensione è molto alta, sui Giganti di Mont’e Prama (con apostrofo, perché voleva dire “monte della palma”, a testimoniare la presenza, anche in antico, della palma nana, spontanea in Sardegna). I due quotidiani sardi parlano tutti i giorni di quegli scavi: è un indizio importante. Sui social network il dibattito è serrato. Alcune testate online (lo dico con orgoglio, soprattutto Sardegnablogger, per cui ho la fortuna di scrivere) stanno contribuendo molto a tenere acceso il dibattito, ospitando discussioni vivaci. Si discute soprattutto sul significato da dare a quei reperti. C’è chi si infiamma e dice, guardando quegli occhi di gigante, che la Sardegna antica aveva un ruolo primario nella rete della civiltà Mediterranea, che non era una periferia di qualche impero, o almeno non lo è stata sempre. Che era un nodo di scambio per idee e ricchezze, e che molto probabilmente era una terra libera. A naso penso anche io che sia così. I custodi del pensiero archeoscientifico ufficiale, invece, storcono il naso. A volte hanno ragione da vendere, perché nel minestrone del mondo “là fuori” c’è chi prende cazzi per fischi di treno e mischia l’archeologia con l’astrologia, con l’ufologia ecc. Ma c’è anche chi, pur non essendo un archeologo accademico e neanche un cultore della materia, ragiona con la sua testa e formula delle ipotesi, si fa delle domande, vuole che se ne parli. Anche quando sono domande che cozzano contro i modelli accettati. Perché i modelli, comunque li giri, restano dei modelli, diversi per natura dalla verità. E sono suscettibili di essere interrogati e messi in discussione. Con semplici domande. Io ad esempio mi sono chiesto perché l’attenzione vada e venga secondo ritmi che con l’importanza degli scavi hanno poco a che fare. Cosa fa sì che una scoperta abbia attenzioni (e risorse) e un’altra meno, a prescindere dalle informazioni che è in grado di fornire sul passato? Mica vorranno farci credere, gli studiosi ortodossi, che il sapere progredisce in modo lineare e costante? Lo sa anche un riccio di mare che le grandi scoperte rischiano lo stesso oblio di quelle piccole, specie se c’è qualche motivo per non considerarle poi così grandi. In modo un po’ conservatore, l’archeologia accademica bolla come stupidaggini tutte le ipotesi che si discostano troppo dal modello consolidato, che privilegia un’immagine della civiltà mediterranea completamente avvinghiata all’asse di sviluppo della civiltà greco romana (cristiana?), con gli apporti che sappiamo, dovuti al mondo semitico (ebrei e arabi). Come dire: scusate, queste cose le abbiamo già studiate e dette e non c’è bisogno di tornarci sopra. Studiatele voi, piuttosto, così ci capiamo. Ecco, il discorso degli accademici più o meno è questo e secondo me rischia di mortificare l’integrità del messaggio che può arrivare da certe scoperte. Mi perdonino tutti, ma tirare fuori tutta quella roba da sotto terra obbliga a ripensare anche il contesto. Il contesto di origine, quello che circa tremila anni fa era la casa, la terra della civiltà che ha costruito quelle statue. E se le reazioni del popolo incolto sono così ingombranti, inopportune, invadenti e fastidiose, tanto da non lasciare la scienza tranquilla al suo lavoro, è perché qualcosa di quel contesto sta cercando di continuare a vivere. Lo so che il problema non sono le informazioni che quello scavo può fornire, quanto quelle che rischia di demolire. Lo so che sembra una discorso assurdo. Lo so che immaginare un legame forte tra quei sardi e i sardi di oggi è un azzardo. Ma è un po’ come il discorso del calabrone, che ha una struttura completamente inadatta al volo, però non lo sa e vola lo stesso. È politica, se volete, ma nel senso in cui la politica è la modalità di vita di una civiltà che vuole vivere. Non è che la natura politica di quella domanda di rivalutazione della storia della Sardegna, faccia di quella domanda un qualcosa di insensato. Anche la scienza fa politica, ad esempio quando bisticcia in seno a se stessa davanti alle telecamere. Quando Università e Ministero litigano sugli scavi di Mont’e Prama, stanno facendo un atto politico, stanno lottando ognuna per la verifica della propria tautologia, del proprio credo. Ecco. Anche bisticciare su come si fa uno scavo, non è molto scientifico. Specie se dietro, lo abbiamo capito tutti, ci sono la politica, la gestione dei soldi e quella dei reperti. Quindi, gli archeologi sardi, non abbiano timore a ragionare da sardi; nessuno chiede loro di rinunciare ai propri strumenti. Solo di considerare che le patate di Cabras e i Giganti di Mont’e Prama, sono sporchi della stessa terra.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
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